Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Anita B. come Edith Bruck, autrice del libro cui il film s’ispira: adolescente tutta occhi e zigomi, impasto vivido di tenacia e languore, scampa ad Auschwitz e arriva in Cecoslovacchia da una zia che tiene le distanze. Dal campo di concentramento e da un passato doloroso che va rimosso come si sostituiscono i cartelli delle strade: la ragazza vorrebbe elaborare i lutti sfogandosi col suo giovane accompagnatore e futuro amante, ma lui la esorta a guardare le insegne appena affisse. Anita racconta la sua storia al nipotino incosciente, descrive la vita di dopo alla madre defunta, affida a un diario le memorie che non può condividere altrimenti: parla con se stessa, e purtroppo quando si apre agli altri i dialoghi diventano sistematici. Infilati in una cornice ambrata che crea un’aura di sospensione letteraria attorno alle giornate della protagonista (peculiare e intensa), non raggiungono mai quella drammaticità dettata dall’urgenza, filtrati da un’umanità che riverbera (troppo) esposta in ogni incontro. Melodramma intimo e compendio storico s’incrociano sfiorandosi - il primo è parecchio più caldo e critico del secondo, impresso sulla pelle di Anita (il numero di matricola tatuato sul braccio) ma lasciato sottotraccia come un refrain narrativo. Con le migliori intenzioni, ma col cuore attutito da un panno isolante: le vibrazioni sgradevoli arrivano da Robert Sheehan, misfit televisivo approdato sul grande schermo con la stessa laconica, disgraziata insolenza.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta