Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Questo film - ispirato liberamente al romanzo di Edith Bruck 'Quanta stella c'è nel cielo' - ci fa rivivere la triste realtà dei pochi ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio che, al termine della guerra, avevano ritrovato i pochi familiari superstiti e avevano sperato nella loro accoglienza affettuosa, di cui avevano disperato bisogno.
Anita B. (Eline Powell), giovane ebrea ungherese, scampata alla morte dopo Auschwitz e Bergen Belsen, aveva raggiunto, col treno, priva di documenti, il territorio cecoslovacco dei Sudeti, dove, in un piccolo villaggio appena liberato, si era insediata la zia Monika (Andrea Osvárt) insieme al marito Aron (Antonio Cupo), al figlioletto, e ad Eli (Robert Sheehan), fratello del marito.
Presso di loro la sedicenne Anita sarebbe stata accolta e avrebbe dimenticato: in quel minuscolo alloggio, infatti, tutti avevano volutamente rimosso gli orrori che si erano compiuti sotto i loro occhi, cominciando da Monika che aveva vissuto la tragedia del rastrellamento e della deportazione dei genitori per arrivare a Eli che aveva assistito impotente alla morte della fidanzata bruciata viva. Era stato proprio Eli ad avvisare Anita che, se avesse voluto vivere con gli altri, nella casa in cui tutti l’avrebbero accolta, avrebbe dovuto lasciarne fuori Auschwitz.
Il bagno a cui Monika l’aveva sottoposta, con crudele freddezza, subito dopo il suo arrivo, assumeva perciò anche il significato simbolico del lavacro purificatore necessario per cancellare ogni traccia di quel passato.
Non era stato possibile, però, portare via col sapone il numero marchiato a fuoco sul suo braccio, né le ustioni del cuoio capelluto, ovvero i bestiali segni della follia nazista che, occultati dal fazzoletto colorato sui capelli e dalle maniche lunghe, diventavano a loro volta simboli della memoria che Anita non poteva né voleva annullare e sulla quale, invece, avrebbe costruito la propria identità e il proprio futuro, rispondendo allo scandalo della Shoah e alle lusinghe dell’integrazione con l’assunzione di una dignitosa e cosciente responsabilità in terra di Israele.
Il tema dell’importanza della memoria, fondamento dell’identità di un popolo quasi cancellato dalla follia nazista, è stato fra i più dibattuti all’interno dell’universo ebraico, lacerato tra la tentazione dell’assimilazione (che avrebbe annullato la millenaria cultura, viva in tutta l’Europa anche dopo la diaspora, fatta di usi, canti, riti, e persino abitudini alimentari) e la rivendicazione orgogliosa della propria storia, fatta anche di umilianti persecuzioni e infine purtroppo della Shoah.
Il regista Roberto Faenza, con la collaborazione di Edith Bruck alla sceneggiatura, ci ha offerto la rappresentazione visiva del dilemma non facilmente risolvibile, ricordandoci le dolorose scelte di Anita a testimonianza che né gli individui né i popoli possono ignorare il passato, parte costitutiva e incancellabile della storia personale e dell’appartenenza collettiva di ciascuno.
Bravi gli attori, diretti con sensibilità ed equilibrio; belle le ricostruzioni ambientali della Mitteleuropa, che confermano l’abilità di Faenza nel ricreare atmosfere e ambienti.
Film poco distribuito e poco visto, ora disponibile in streaming.
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