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Luci sull'asfalto

Regia di Robert Parrish vedi scheda film

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La recensione su Luci sull'asfalto

di fixer
6 stelle

 

L’arguzia è un elemento chiave per scrivere dialoghi di qualità. William Bowers, lo sceneggiatore, aveva dato prova di certa abilità scrivendo i dialoghi di NOTTE E DI’ e soprattutto venendo nominato per l’Oscar per IL ROMANTICO AVVENTURIERO (1950)di Henry King, (anche se la sceneggiatura fu riscritta da Nunnally Johnson non accreditato) e per LA LEGGE DEL PIU’FORTE (1958) di George Marshall. Nel 1951 scrisse i dialoghi di due ottimi polizieschi, NEI BASSIFONDI DI LOS ANGELES e questo di cui stiamo scrivendo.

La sceneggiatura sorregge poi un buon lavoro di un discreto regista come Robert Parrish.

Scendendo poi sul particolare, alcuni elementi del film sono degni di nota. La sceneggiatura, si diceva. Poche volte ho visto film polizieschi così ben scritti. Le battute, a quasi totale appannaggio del protagonista, sono divertenti, fulminee e prive di facile volgarità.

Il secondo elemento è la figura del protagonista, Broderick Crawford. Si era imposto all’attenzione generale interpretando a meraviglia il ruolo di Willie Stark, il politico che da onesto diventa corrotto e malvagio, tanto quanto gli uomini che prima attaccava. In LUCI SULL'ASFALTO, l’attore riesce a costruire un personaggio avvincente, capace di tenerezza ed attenzione per sua moglie e altrettanto capace di spietatezza con i delinquenti. La sua figura massiccia, in cui inserisce, per un vezzo curioso, l’abitudine di alzarsi il bavero della giacca, “crea” quasi una tipologia fisica del detective per i suoi modi bruschi, la sua determinazione e il suo coraggio. La fotografia poi ne esalta la diversità dal ruolo del detective-divo, avvenente e “piacione”. La sceneggiatura, poi, si diverte a creare un curioso finale in cui la moglie di un collega geloso, che Crawford aveva conosciuto durante una serata organizzata ad arte dal collega, bacia il sorpresissimo detective appassionatamente, davanti alla moglie stupefatta e al marito sconcertato.

La storia si svolge in una città non meglio identificata, tra gli scaricatori del porto. La polizia manda il detective Johnny Damico(Crawford) a sgominare una gang (da cui il titolo originale) che taglieggia i portuali e che impone con la violenza un clima di paura e omertà.

Viene spontaneo collegare questa storia a quella di FRONTE DEL PORTO di Elia Kazan, film che sarebbe stato girato tre anni più tardi.

Le due storie percorrono però strade diverse. Nel film in esame, si tratta di un normale (ma solido) poliziesco, mentre nell’altro, le implicazioni ideologiche e politiche travalicano la semplice storia.

In sostanza, il film di Kazan è un invito ai lavoratori (non solo i portuali) a non accettare passivamente le condizioni imposte loro dalla malavita (ma il discorso va ampliato e tocca concetti di lotta di classe che, ovviamente, per quel periodo, erano tabù).

Qui invece non c’è il minimo accenno a eventuali rivendicazioni salariali. I lavoratori qui accettano, per quieto vivere e per paura di ritorsioni violente, abusi, ingiustizie, prevaricazioni che un gruppo ben individuato di malavitosi impone, sicuro della propria impunità.

Ci troviamo di fronte, invece, ad un’indagine lineare e ad alto rischio, condotta in modo coraggioso da Damico che agisce sotto copertura e che alla fine riesce nel suo intento.

Visto sessant’anni dopo, il film mantiene ancora una certa tensione e un ritmo accettabile. Rispetto ai polizieschi contemporanei, notiamo anzitutto la scarsa propensione del protagonista a sparare e la deferenza (i tanti sissignore) verso i superiori. L’ispettore Callaghan è molto di là da venire, tanto per capirci. Eppure ci sono elementi di piena attualità come ad esempio la corruzione (un commissario di polizia è sul libro paga della mafia), del resto, fin dai tempi di Al Capone (anni ’20) c’era mezza polizia coinvolta, almeno a Chicago.

L’assenza di divi, eccetto Crawford, e il budget non certo elevato, collocano questo film tra i B-Movie. Ma questo non è un difetto, anzi, spesso è stato occasione per il lancio (e a volte il rilancio) di registi ed attori o troppo giovani o troppo vecchi o semplicemente in disgrazia.

Per finire, consentitemi di elogiare il titolo italiano rispetto a quello originale (THE MOB): “Mob” significa banda, gang ( e non certo mafia). Luci sull’asfalto è molto più suggestivo ed intelligente, oltre che rispettoso della tecnica, che onestamente non conoscevo, di illuminare la scia della macchina da seguire).

Una volta tanto, complimenti per la scelta.

 

 

 

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