Regia di Mark Cousins vedi scheda film
I 900 minuti di The Story of Film - An Odyssey di Mark Cousins sono immensi, e riescono, pur nell'estrema durata, a fare una sintesi completa della storia dell'arte cinematografica, avvicinando chiunque al cinema meno conosciuto e meno "attraente". Quei 900 minuti risultano tanto coinvolgenti perché circondano il cinema di un'aura magnifica, quasi surreale (nonostante il tono documentaristico), che spinge a un desiderio sempre più profondo di conoscenza: Mark Cousins sembra proprio specializzato in questa capacità di accumulazione, lo dimostra in maniera esplicita, benché sia sempre chiaro che tutto non è gratuito, fine a se stesso, teso a una vanità intellettuale che pure la profonda conoscenza dell'arte cinematografica potrebbe favorire. Cousins è sempre invitante, mette curiosità, desta l'attenzione, avvince montando e commentando, accompagnando lo sguardo indagatore dello spettatore in maniera talvolta invadente (spiegando, insomma, "tutto", anche ciò che non è necessario), talvolta in maniera sagace e armonica. Così avviene in questo A Story of Children and Film, in realtà non direttamente collegato a The Story of Film, come lascerebbe intendere il titolo dell'edizione DVD italiana, ma comunque dotato dello stesso stile, delicato, intellettuale e ricco, ricchissimo, di desiderio di trasmettere conoscenza.
Cousins neanche qui ha l'aspirazione ad assumere lo sguardo di un maestro severo e onnisciente: d'altronde i suoi passaggi tematici e le sua attinenze non convincono, spesso e volentieri, ma sono evidentemente scuse per passare da un film all'altro, per estendere la propria curiosità e i propri risvolti contenutistici collegando i film più disparati. Il compito è assai diverso da quello di The Story of Film, che pure era più "facile" portare a termine, visto che l'elemento di collegamento era l'inscalfibile procedere cronologico della storia del cinema. Qui Cousins vuole procedere con un tema, e per farlo inizia a parlare della piccola superficie che osservò Van Gogh per dipingere i suoi quadri. E fra accostamenti leggermente improbabili (il "flusso di coscienza" insondabile e inintelligibile sarebbe stato una scusa migliore) arriviamo alla contemplazione di due suoi nipoti che, in pigiama, giocano con un articolato scivolo per le biglie. Da lì, Cousins inizia la sua discussione, profonda ma a volte sognante più di uno spirito infantile (effetto voluto?), passando da un film indiano a uno svedese a uno finlandese a uno messicano e così via, destabilizzando anche il cinefilo più accanito e rivelandogli numerosissime curiosità, tali da rendere questo suo documentario, nonostante tutto, un gioiello, che riesce, spesso, a trasmettere con poche parole di spiegazione lo stesso senso di ansia, paura o commozione che può caratterizzare la scena di un film qualunque che Cousins, in quella data circostanza, ha deciso di proporre. Così saltiamo da uno stimolo all'altro come su un libro illustrato, ma assumendo sempre maggiore fiducia nei confronti della complessità e dello splendore dell'arte cinematografica.
Cousins ha ragione, il cinema è ancora un bambino. Vive da dodici decadi, ancora si dimena come un infante che vuole i suoi giocattoli.
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