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Blaubeerblau

Regia di Rainer Kaufmann vedi scheda film

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La recensione su Blaubeerblau

di OGM
8 stelle

Il posto dei mirtilli. Ci si sorprende, forse, pensando a quanto quasi tutti noi siamo impreparati ad affrontare ciò che accade migliaia di volte, ogni giorno, e a cui nessuno può sottrarsi. Anche per Fritjof Huber, un architetto giunto alle soglie della quarantina, la morte è un vero tabù. E non soltanto per lui, che è il classico bamboccione e non mai ha saputo crearsi nessun tipo di autonomia. Abita ancora nella casa dei genitori e, nello studio presso cui lavora, è poco più che un semplice impiegato. Il suo capo, sua madre, la sua fidanzata sono le donne della sua vita, che lo dominano senza però riuscire in alcun modo a smuoverlo e indurlo a maturare. A destarlo dalla sua inerzia provvederà un incarico professionale tanto inatteso quanto delicato: predisporre un progetto per il rimodernamento di una struttura ospedaliera dedicata ai malati terminali.  Visitare quotidianamente quel luogo così carico di dolore e di tensione umana lo porterà, poco a poco, a rivalutare l’importanza della libertà di scelta, e a scoprire quanto sia essenziale impegnarsi per costruirsi un’identità, alla quale restare attaccati fino all’ultimo. Ognuno ha una storia diversa dietro le spalle, che contribuisce a definirlo rispetto a se stesso e nel rapporto col prossimo: può essere, come per il  giovane Hannes, il ricordo infantile del muso di una mucca, o, come per l’anziana signora Fahrenholtz, un punto segreto nel folto di un bosco. Conversando con loro, che parlano del passato non avendo più un futuro, Fritjof si rende conto di non possedere il senso del tempo, di vivere, immobile, in un eterno presente, sempre uguale, senza mai guardare né avanti, né indietro. In quell’attimo indefinitamente sospeso mancano i termini di paragone a cui appoggiarsi per poter ragionare in prospettiva, porsi degli obiettivi e programmare l’esistenza. Il dilagare dei luoghi comuni - di cui i suoi tre amici del bar sono la più plateale incarnazione – imbriglia la normalità in un’indifferenza che appiattisce il mondo in un convenzionale disincanto, soffocando l’ingenuo fascino della scoperta, delle passioni futili, delle piccole cose che, per quanto apparentemente trascurabili o ridicole, agli occhi del cuore si possono manifestare come preziosi concentrati di verità. Si può decidere di adeguarsi, e comprare, come tutti, i mirtilli al supermercato, illudendosi che quelle palline colorate di blu e chiuse in una scatola di plastica siano identici agli omonimi frutti selvatici, dal sapore magico, che crescono in mezzo alla foresta.  Oppure si può spezzare il pigro conformismo con una coraggiosa svolta. Hannes, alla fine del suo avventuroso percorso lungo il sentiero accidentato delle realtà estreme, conoscerà un nuovo modo di tirarsi indietro, che non sarà più il solito ripiegamento sull’abitudine, bensì il rifiuto di continuare ad accondiscendere ad uno status quo divenuto inaccettabile. Il passaggio attraverso un’esperienza tanto traumatica quanto rivelatrice è il cammino di formazione che, in questo film, si tinge dei tenui colori della commedia sentimentale, come assumendo, di riflesso, i connotati morbidi e teneramente goffi del protagonista. C’è modo e modo di presentare la drammatica durezza della sofferenza: il regista Rainer Kaufmann lo fa con squisito garbo e gradevole fantasia, ricordandoci, passo dopo passo, che in ogni storia la banalità è costantemente in agguato, anche se, per fortuna, è un nemico docile.

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