Regia di William Dieterle vedi scheda film
Pittore spiantato conduce una vita grigia e malinconica, non ostante l'incoraggiamento e l'aiuto tanto dell'anziana direttrice di una galleria d'arte quanto di un suo spigliato e gioviale amico di lunga data. L'incontro con la giovanissima Jennie, figlia di una coppia di trapezisti tragicamente deceduti, inizia a poco a poco a convincerlo della presenza di un sottile e indecifrabile legame che lo lega a lei e che sembra superare le barriere del tempo e dello spazio, rivelando la forza di un sentimento amoroso che rifulge nello splendore del ritratto che, nelle diverse occasioni, riuscirà a fare della misteriosa ragazza.
Sulla sottile linea di demarcazione tra sogno e realtà, tra immaginazione e ispirazione, tra predestinazione e suggestione, si muove questo melodrammatico 'Ritratto di Dorian Gray' che l'immigrato tedesco William Dieterle fa della moglie del produttore David O. Selznick con l'amichevole (amorevole) partecipazione di un quanto mai tenebroso e romantico Joseph Cotten, già ambiguo protagonista,sempre sotto l'egida del magnate hollywoodiano, de 'L'ombra del dubbio' di un altro illustre immigrato di nome Alfred Hitchcock. La già consolidata tradizione del cinema fantastico americano trova qui una declinazione nella parabola sentimentale di un uomo alla deriva che rinviene il segreto della vita nelle insospettabili qualità della sua arte, quale paradigma e archetipo degli indecifrabili misteri dell'esistenza (la vita,la morte, l'amore) ed allo stesso tempo quale mistica sublimazione del valore senza tempo che la stessa arte (quella figurativa come quella cinematografica) sembra conferire alla vita.
Benchè le digressioni temporali e la circolarità del racconto rimandino al didascalismo esemplare del cinema di Capra, la cifra più qualificante di questo dramma allegorico risiede piuttosto nelle atmosfere trasognate e brumose di una New York da cartolina illustrata, splendidamente fotografata nel chiaroscuro di Joseph H. August, tra le panchine di Central Park e la Skyline di Manhattan, quale sfondo e richiamo per le suggestioni di un delicato e sfumato ritratto interiore, al di là delle convenzioni e del buonismo di una storia d'amore che strizza l'occhio tanto agli eccessi melensi del melodramma quanto al simbolismo a buon mercato già preannunciate nelle citazioni dei titoli di testa (da Euripide a Keats). A ciò contribuiscono le indubbie qualità degli interpreti e dove al languido disincanto del bravo Cotten fanno da contraltare tanto la magnetica solarità della bella Jones quanto il carisma scenico della navigata Ethel Barrymore.
Tra le curiosità di un'opera tutto sommato convenzionale come questa vanno annoverati alcuni bizzarri tentativi cromatici (dagli effetti serigrafici di alcune scene iniziali alle colorazioni nel finale: dal cobalto della tempesta al carminio della bonaccia, fino alla policromia della scena finale) e gli spunti inusuali di un chiaro riferimento alle tradizioni nostalgiche ed alla cultura cattolica degli immigrati irlandesi trapiantati nel Nuovo Mondo della libertà e del protestantesimo. Oscar per gli effetti speciali e premio internazionale quale miglior interprete per Cotten al Festival di Venezia del 1949.
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