Regia di Albert Lewin vedi scheda film
Affidare al dialogo parlato il compito di memorizzare gli aforismi di Wilde è impresa impossibile. A parte questo, però, attori e regia si muovono con tale maestria da permettere al film di non sfigurare davanti al romanzo. L’eleganza del male, espresso sia nella raffinata compostezza di George Sanders che nello sguardo fisso del protagonista, è impareggiabile: una malvagità celata dalla bellezza esteriore e perpetrata con l’aria trasognata del santo, allo scopo senza scopo di sperimentare il lato oscuro dell’anima (contrariamente al dottor Jekyll, che desidera il male per curarne gli effetti). Mai come qui la bellezza è tanto ricercata, tanto vana e tanto deleteria: il volto angelico di Hurd Hatfield inganna prima di tutto se stesso, causando un alone di morte continuamente diluito nel vago. La prima vittima è Angela Lansbury, grande attrice della vecchia Inghilterra, già civettuola cameriera in “Angoscia”. Donna Reed ha un’aria troppo matura per impersonare la giovane Gladys e se la caverà meglio ne “La vita è meravigliosa”.
Manca la suggestione delle “cupe ombre proiettate lungo la scala”, nel momento in cui Dorian accompagna il pittore nella stanza degli orrori (da Wilde menzionate quanto basta per colpire improvvisamente l’immaginazione del lettore). Manca anche il tipico paesaggio nebbioso della Londra ottocentesca.
Quattro stelle né più né meno.
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