Regia di Luca Miniero vedi scheda film
L’asse della commedia secondo Miniero non si sposta neanche di un meridiano: si alza solo un po’, tra Napoli e, anziché Milano, l’ancor più nordica Bolzano. Lo scontro passa, pigramente, prima di tutto dallo stomaco: il pinzimonio e i canederli della finta settentrionale Paola Cortellesi (dotata di insopportabile accento posticcio) contro la pastiera e la “montagnola” nella moka del fratello Rocco Papaleo, criminale accusato di associazione alla camorra che sconta al nord la custodia cautelare. Lei si è cambiata il nome da Carmela a Cristina e si è costruita una famiglia da spot del Mulino Bianco, lui sbuca dal suo passato con lo stecchino in bocca e il neomelodico a tutto volume anche a notte fonda. In città si sparge la voce che sia un boss, e per la famiglia si spalancano porte prima serrate: il maritino fa carriera, i bambini entrano nel giro degli amichetti ricchi, Carmela intravede finalmente la meta, quell’esistenza borghese e inquadrata che le sue origini le precludevano, ma la ruota è pronta a girare. L’impianto di farsa (con una percentuale di volgarità adeguata al target famigliare), trova momenti ispirati nella descrizione quasi cartoonesca dell’azienda dove lavora il tonto ma buon maritino Argentero, ma è presto mortificata dall’arrembaggio dei buoni sentimenti, protagonisti assoluti di un segmento finale didascalico e stucchevole: pretendere, nello stesso film, di far ridere con la gag del gatto morto nascosto nelle mutande e di far commuovere con la morale della famiglia adorabilmente imperfetta, è davvero troppo.
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