Regia di Neil Burger vedi scheda film
La politica è il luogo-narrazione del cosiddetto filone young adult. Il punto fondamentale di cicli narrativi come Hunger Games e di operazioni parzialmente fallite come The Host è la possibilità di rifondare il patto sociale. Trovare nuove modalità di convivenza le quali sono inevitabilmente tematizzate dall’amore impossibile che, stando alla lezione dei Montecchi e Capuleti, sfida le convenzioni dominanti e quindi mette in discussione l’esistente (uno dei motivi dell’appeal irresistibile della trilogia Twilight). Divergent, tratto dal romanzo di Veronica Roth, affronta in forme addirittura didascaliche questa necessità di ripensare l’ordinamento sociale. Divisa in classi, la società, che si ritrova a vivere ancora in una prospettiva marxista alla fine della storia (una delle ironie delle grandi narrazioni della società dello spettacolo), riscopre come possibile orizzonte totalitario lo spettro del funzionalismo come un determinismo ineluttabile. Ed è in questo contesto che assume un valore didattico l’affermazione della propria individualità come elemento di discontinuità rispetto alle strategie del potere. Discontinuità che mette in discussione il tabù del conflitto che torna a essere pratica libertaria (non a caso il prossimo capitolo s’intitola Insurgent…). Come dire che i critici possono anche storcere il naso, ma sono queste le storie che vanno per la maggiore oggi. E una ragione ci dovrà pur essere.
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