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Divergent

Regia di Neil Burger vedi scheda film

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La recensione su Divergent

di M Valdemar
4 stelle

Non diverge affatto dalle "linee guida" hollywoodiane per la conquista del box office, questo "nuovo" ennesimo esempio di prodotto per le masse (di "young adult").
Saga "letteraria" alla base - manco a dirlo bestseller (autrice la giovanissima Veronica Roth, già ascesa all'empireo delle modernissime icone pop) -, scenario post apocalittico in un futuro distopico (termini abusati ogni oltre umana sopportazione, ma così è se vi pare, e anche se non vi pare), un'eroina - bianca, giovane, bella (ma in modo del tutto e casualmente "normale") - che suo malgrado diventa capo e simbolo della rivolta contro i cattivissimi ordini precostituiti.
Date le premesse - e ci sarebbero ulteriori numerosi (s)punti di convergenza sui quali è esercizio sterile perderci tempo - il resto (storia, personaggi, contesto, "contenuti" e "messaggi", sviluppo dell'azione e dello spettacolo) è alquanto intuibile.
Dopo due minuti, appena scorrono le prime immagini di panorami (digitali) che devono essersela vista davvero brutta (eh, la guerra) e parte l'immancabile "spiegone" iniziale della protagonista, hai già capito tutto (e senza possedere alcuna virtù magica: potenza della fabbrica dei sogni di celluloide).
Per quanto autori e regista (il Neil Burger di The Illusionist e Limitless: titoli quasi profetici) vogliano far credere (nemmeno tanto, poi) di aver realizzato chissà quale cosa originale e ricca di riflessioni intelligenti.
Ossia, vorrebbero tanto stupire con effetti speciali; peccato sia soltanto la solita mortifera tiritera preconfezionata: struttura rigidissima che propone modelli - narrativi, tematici, sociali, estetici - elementari, sotto l'egida della più pura schematicità ed approssimazione, con "morale" e "valori" di sicura definizione (e definibilità). Insomma, un gioco semplice con regole semplici: non disturbare e non turbare.
Ovvero, dalla divisione in caste della società rappresentata alla castità solenne dell'eroina: l'immaginario è generico, perfettamente aderente ai canoni del target (ammiccamenti compresi), e tutto è di facile identificazione (anche visiva: ci sono i mormoni, gli homeless, gli emo-puk e così via).
Divergent segue dunque traiettorie che confluiscono in luoghi protetti e garantiti, rifugi sicuri per tentare di assurgere al ruolo di "new sensation" (impresa ardua e spietata).
Il film prevede passi codificati del genere (imprecisioni e riduzioni/risoluzioni sommarie incluse), con una storia non particolarmante brillante, una tenuta altalenante (qua e là affiorà un po' di stanchezza, che si traduce in noia per lo spettatore), personaggi di mediocre spessore e succubi di un certo caos descrittivo, l'inevitabile profluvio di sentimenti (ma almeno abbiamo evitato il triangolo: alleluia!), un finale concitato nel quale l'azione prende il sopravvento, e un controfinale "aperto" (per i possibili sequel, dipendenti dagli esiti del botteghino, anche se negli States ha iniziato col botto).
Infine, la protagonista, Shailene Woodley: pur dotata di un non disprezzabile registro drammatico, non riesce ad eguagliare il carisma e la presenza scenica di Jennifer Lawrence (inutile girarci intorno: diverse sono le analogie con Hunger Games), ma va anche detto che è penalizzata (più della collega) da regia e script di modesta entità. Altro che divergent.








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