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Jodorowsky's Dune

Regia di Frank Pavich vedi scheda film

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La recensione su Jodorowsky's Dune

di alan smithee
8 stelle

CANNES 2013 - QUINZAINE DES REALISATEURS
Ci sono film divenuti famosi ed immortali proprio per il fatto di NON essere stati girati: epopee e sforzi titanici che si sono tradotti in un nulla di fatto, in pura inconsistenza a causa di progetti ammirevoli e perfetti sulla carta che tuttavia, per motivi generalmente legati a problemi finanziari, si sono tradotti in un totale fallimento, nel nulla di fatto più amaro e sconcertante, uno stadio embrionale che quindi estremizza il passo falso (qui non c'e' "Alan Smithee" a prendersi carico di un'opera non riuscita, non c'è proprio l'opera!) e talvolta genera il mito. Sto pensando a progetti rimandati eternamente come La ciurma di Antonioni, ad un thriller parigino (di cui non ricordo il titolo) con John Travolta e la Adjani ad opera di Polanski il cui vano sforzo produttivo ha riempito le pagine dei giornali una quindicina d’anni orsono; al Don Quixote di Terry Gilliam naturalmente, con Jean Rochefort e Johnny Deep, sulla cui devastante produzione è stato girato un bellissimo documentario e scritto un libro. Ma come non pensare al Dune di Jodorowsky, una produzione da 15 milioni di dollari dell’epoca (era il '74!) scenografata dal disegnatore Moebius e impreziosita dal lavoro dell’esperto degli effetti speciali Dan O’Bannon, nonché vivificata da protagonisti del calibro di David Carradine, Orson Welles, Micky Jagger e addirittura Salvator D’Alì e Amanda Lear? Il giovane documentarista Frank Pavich, presente in sala, confessa di aver lavorato più di due anni per raccogliere testimonianze su questo mastodontico e forse troppo ambizioso progetto: memorie che ci arrivano prima di tutto da un divertito e ormai sereno Alexander Jodorowski, vero protagonista di questa manifestazione con la sua ultima riuscita fatica autobiografica, La danza de la realidad, vista i giorni scorsi, il documentario qui presente, e una preziosa dedica da parte dell'amico ed ammiratore Nicholas Winding Refn nel suo ultimo film in concorso Only God forgives. 
In splendida forma considerate le sue ottantaquattro primavere, il regista cileno ci racconta divertito tutte le stravaganze e i bei sogni attorno ad un progetto che era ormai pronto a partire, disegnato e costruito nei dettagli non solo nella mente labirintica del celebre regista, ma ben delineato nelle menti di tutti gli illustri nomi coinvolti. E dopo aver ascoltato le stravaganze e le pretese di D'Ali, seconde solo a quelle di Welles, il regista ci dimostra come anche un fallimento del genere decreto' tuttavia l'avvio di una nuova concezione della fantascienza, del modo di rappresentarla e di concepire scenografie e personaggi, tanto che opere come Guerre Stellari, Alien e lo stesso recente Prometeus ne risultano debitori.
Gran tocco di sincerità e profonda umanità poi quando il regista confessa che al momento dell'uscita cinematografica della versione lynchana di Dune, egli si rifiutò inizialmente per orgoglio di vederla, salvo poi cambiare idea ed andarci con tutta la famiglia. Il fatto di trovarlo, come per molta critica e pubblico, un film sontuoso, kitch sin ridicolo e di conseguenza non riuscito, suscitò nel regista un senso di liberazione che egli stesso davanti alla telecamera non si vergogna di ammettere. Un atto di grande e divertita sincerità che accresce la mia considerazione per questo straordinario e visionario uomo di cinema; pur non essendo personalmente affatto d'accordo nel massacrare a tutti  i costi il Dune di Lynch: una versione kitch senza dubbio, lontana certo dalla megalomania e dalla perfezione del progetto originario, tuttavia faraonica e plastificata come solo le produzioni di De Laurentis sapevano essere a partire dagli anni '80 per oltre un decennio (si pensi al pur fantastico seppur baracconesco e coloratissimo Flash Gordon, un film che segnò un'epoca per noi 40/50enni), ma un grandissimo film di fantascienza, opera non sentita più di tanto come figlia di un discorso personale da portare avanti e certo nata su commissione, mercenaria dunque, ma pur sempre un caposaldo della cinematografia del più grande e geniale regista dell'ultimo trentennio.

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