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Apache

Regia di Thierry de Peretti vedi scheda film

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La recensione su Apache

di scapigliato
8 stelle

L’incontinenza del disagio giovanile contemporaneo, di cui la causa principale sono le famiglie, prime agenzie di terrore e di intolleranza di ogni comunità, deborda, come è ormai noto grazie a numerose pellicole, in un violenza gratuita senza cognizione di causa e in una sessualità apatica, puramente meccanica, fatta di plastica ed edonismo mimico. Sono finiti i tempi in cui ragazzi problematici si stonavano con canne e alcol – anche se la cronaca contemporanea purtroppo ci conferma il contrario. Ora è l’istintualità violenta, la ricerca del sangue e del binomio dominio/umiliazione, a catalizzare le azioni dei soggetti più a rischio che credono successivamente di trovare pace e conforto in una sessualità sclerotizzata, lontana dalla ricerca del piacere sessuale e indirizzata verso la ripetizione meccanica di una rituale agonistico di gruppo.

Nel buon esordio di Thierry de Peretti, la critica sociale verso il classismo tornato a dividere la società durate la crisi economica è filtrata attraverso le istintualità di un gruppo di adolescenti corsi che intrufolatisi in una lussuosa villa borghese per passare una serata trasgressiva finiscono per portar via alcuni oggetti di valore tra cui dei fucili da collezione. Il trafugamento della “roba” scatena l’ira degli aristocratici proprietari che chiedono aiuto a un capoccia locale. La tragedia è dietro l’angolo e investe in pieno i giovani protagonisti che, senza ben capire cosa sta succedendo intorno a loro, arrivano fino al delitto, all’occultamento e all’indifferenza della morte.

Se l’insistenza dello sguardo registico sui giovani corpi mezzi nudi fa il paio con la facilità con cui quegli stessi corpi giungono a corrompersi fino al delitto, lo sguardo in macchina dei giovani borghesi a fine pellicola mentre l’ottimo François-Joseph Culioli, protagonista tutto corpo e nessuna coscienza, viene appartato lentamente dal regista ai margini del quadro fino a scomparire, ci trascina come complici nella loro assurda, inutile e arrogante realtà, complici impotenti al cambiamento.

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