Regia di Thierry de Peretti vedi scheda film
Porto Vecchio, Corsica. Gruppo di adolescenti nella notte, nel lusso di una villa. Il padre di Aziz ci lavora in qualità di custode, il figlio la mette a disposizione di amici d’occasione. Si ubriacano, ballano, amoreggiano, litigano, vomitano, rubano uno stereo, dvd, fucili di valore. Il giorno successivo i padroni rientrano, constatano i danni, mobilitano un boss locale. I giovani regolano i conti tra loro. Esordio nel lungometraggio presentato alla Quinzaine des réalisateurs 2013 e poi a Giffoni, distribuito in lingua originale con sottotitoli italiani, Apache si ispira a un fatto realmente accaduto. E cerca - nel ricorso a un digitale rude e ad attori non professionisti, nei radi tappeti sonori elettronici, nel formato primario (1:33) e in piani distanti, dal medio verso il lungo - un realismo scarno e scabro, privo d’orpelli, per radiografare un paesaggio antropologico negandolo ai soliti bozzetti turistici da cartolina (un esempio? Il bandito corso). I vizi sociali della Corsica si raccolgono in una perdita dell’innocenza, uno scheletrico romanzo criminale indica divisioni etniche e di classe radicate nella storia di un’isola composta da riserve indiane, chiuse, non conciliate. Nel finale, un’invenzione linguistica inattesa, audace e suicidale, mette in crisi l’approccio cronachistico, la retorica della realtà a cui il film si affida. E mostra brutalmente quel che la borghesia vede, quel che non vede.
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