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Apache

Regia di Thierry de Peretti vedi scheda film

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La recensione su Apache

di OGM
8 stelle

La Corsica. Maledetta e selvaggia. Il paradiso dei turisti nasconde una cultura non diversa da quella delle periferie metropolitane, dello sballo che sconfina nel crimine, di ragazzate che sfociano in episodi di inaudita crudeltà. Cinque adolescenti concludono una serata di divertimento nella piscina di una villa disabitata. La situazione degenera, e un po’ per scherzo, un po’ per sfida, i ragazzi si trasformano in ladri, e finiscono per scappare con l’impianto stereo, alcuni dvd, e due fucili da collezione. Le cose avrebbero seguito un corso certamente spiacevole, ma non tragico, se la padrona di casa, al suo arrivo, avesse denunciato il fatto alla gendarmeria. Decide, invece, di chiedere  aiuto ad  un suo conoscente, un piccolo bosso locale, che le promette di sistemare la faccenda a modo suo. In un clima di minacce, sospetti, rivalità e tradimenti, ci vuole poco ad arrivare alla violenza. La questione tra uomini si fa subito seria, ma questa volta non ci sono codici d’onore da rispettare. In assenza di qualunque disciplina, l’avidità e l’istinto avranno il sopravvento. Il disagio sociale non vive soltanto all’ombra delle città. E non è necessariamente intrecciato con la disoccupazione, le difficoltà economiche, o la mancata integrazione degli immigrati. Il gruppo entro cui matura la sanguinosa vicenda comprende francesi benestanti e maghrebini, lavoratori e figli di papà. Il film di Thierry de Peretti affronta la tematica senza tempo dell’umanità che, in attimo smarrisce la strada e la piena coscienza di sé, per abbandonarsi al flusso degli eventi, ai capricci del caso, agli impulsi incontrollati. Difficile distinguere lo stimolo ancestrale dal disegno razionalmente concepito; tra la pura e semplice paura e il piano di vendetta corre un confine sottile e sfrangiato, che segue l’andamento degli umori, gli accenti delle parole, il susseguirsi delle occasioni. Questa storia è acerba, nella forma estetica e nella sostanza cinematografica, proprio perché rozzamente aderente ad una realtà impossibile da ricondurre a schemi teorici, ribelle alla logica ed alle regole della civiltà. L’unico filo conduttore è l’insulsa coerenza della banalità, che percorre la concatenazione di causa ed effetto con la noncuranza di chi non vede il futuro semplicemente perché non pensa, neanche per un attimo, di guardare avanti. Il suo orizzonte è ristretto, e all’interno di esso crede, a seconda dei momenti, di avere tutto (la spiaggia, il sole), oppure niente (per via dei soldi che potrebbero essere molti di più). Nessuno si preoccupa dei valori fondamentali, di ciò che è veramente necessario essere o avere. E la parabola di ognuno dei protagonisti si chiude, squallidamente, sul gusto insipido del nulla di fatto. Les apaches è ciò che resta delle crude leggende silvestri quanto queste vengono rose dal tarlo della modernità: una malvagità stanca ed inconsapevole si sé, ed uno spirito guerriero adulterato, che maldestramente inciampa nelle armi imbracciate per gioco.  

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