Regia di Ken Scott (II) vedi scheda film
L’usato sicuro, soprattutto quando la fonte è fresca e transitata sullo schermo senza generare un eco tra le fila del pubblico generalista, è spesso riutilizzato dal cinema americano. Per di più, usufruendo delle prestazioni di Ken Scott, regista dell’originale Starbuck – 533 figli e non saperlo, Delivery man gioca tra le mura amiche.
Se la formula non può che essere nota, altrettanto vale per le generalità, che mettono sotto lo stesso tetto, un umorismo di grana grossa e la ricerca dell’emotività.
Stretto nella morsa di un debito e delle sue continue manchevolezze, David (Vince Vaughn) scopre che dalle donazioni di sperma fatte quando era solo un giovane spiantato, sono nati 533 figli, di cui 142 vogliono conoscerlo a tutti i costi. Con il suo amico e avvocato Brett (Chris Pratt), intenta una causa contro la Banca del seme che potrebbe sistemare tutti i suoi problemi economici, mentre Emma (Cobie Smulders), la sua ragazza, gli comunica di essere incinta ma che non vuole avere più niente a che fare con un’inaffidabile come lui.
Queste novità improvvise, spingono David ad aprire gli occhi su ciò che più conta, ma nella sua situazione traballante, non è affatto facile sistemare tutti gli scenari.
Paternità fa rima con responsabilità. Spesso, c’è un prima e un dopo, intervallati da una transizione che può essere traumatica. Delivery man si inocula in questo spazio, ampliando i poli opposti, creando un circolo vizioso con congiunzioni a rischio e un’intuibile chiusura.
Infatti, parte elargendo ampie dosi di sarcasmo, o comunque una comicità senza ritegno («ti voglio bene come se fossi mio figlio», «ma io sono tuo figlio»), per poi aprirsi a tutt’altro, badando principalmente al sodo.
Un percorso di comodo che ha il tipico vizio di voler mettere a tutti i costi ogni pezzo nel posto corretto, ma che possiede la qualità di riuscire a essere comicamente frivolo nella prima parte, per poi arrivare a far sgorgare l’emozione più pronunciata, come un abbraccio condiviso da una moltitudine di persone più riuscire a fare.
Tratteggiati i punti di partenza e arrivo, non rimane molto altro nel pugno. Ken Scott si affida ciecamente alle spalle larghe di Vince Vaughn, credibile quanto basta come uomo inaffidabile e combina guai, ma non proprio effervescente, nonostante faccia abilmente buon viso a cattivo gioco. Intorno a lui, compaiono alcuni volti futuribili. Esemplare il caso dell’irlandese Jack Reynor, qui al suo primo set americano e che, come paradosso, proprio nella scena in cui il suo personaggio conquista il primo ruolo da attore, ha ricevuto la chiamata che lo arruolava sul set di Transfomers 4 – L’era dell’estinzione. Con lui, anche Britt Robertson (Tomorrowland – Il mondo di domani, La risposta è nelle stelle) e altri giovani ruspanti, mentre Cobie Smulders abbandona i panni da donna action - è presente nel Marvel cinematic universe ed è stata coprotagonista di Jack Reacher: Punto di non ritorno – ma non la decisione che la contraddistingue e Chris Pratt, di lì a poco diventato star di Hollywood (Guardiani della galassia, Jurassic world), è utilizzato come puro elemento comico, anche ingrassato a puntino (di una quindicina di chili).
È grazie anche alla predisposizione sorprendente degli interpreti, se Delivery man non affonda. Edulcorato e predisposto alle divagazioni, quando il protagonista diventa un angelo custode dei suoi tanti figli, incauto nel componimento, che molla per strada degli esuberi (come la piantagione casalinga di marijuana, poi ripresa nelle scene tagliate presenti sul blu-ray), sfrutta la necessità umana di dire bugie (a volte, con gambe cortissime), la volontà del pubblico di ridere e contemporaneamente ricevere insegnamenti basilari, creando un intrattenimento popolare, abbastanza piacevole nella sua essenza mitigata da equilibrismi un po’ forzati.
Di veloce assimilazione e discreti effetti.
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