Regia di Ritesh Batra vedi scheda film
Espressione poetica ed elegante di un' amicizia che, senza l'ausilio del cibo, non sarebbe potuta sbocciare. "Il treno sbagliato ti porta alla stazione giusta!": proprio vero!
"Launchbox" è certamente l’ espressione raffinata e suggestiva di come un veicolo semplicissimo quale un portapranzo, da cui prende nome il film, possa innescare un'amicizia altrimenti impossibile, in un contesto culturale che vedrebbe due perfetti sconosciuti rimanere tali se si fossero solo incrociati per strada.
Pellicola datata 2013, diretta da un ottimo Ritesh Batra, è ambientata nell' India dei giorni nostri, in una Munbai caotica e metropolitana, dove convivono ricchezza e povertà senza muri che le separino, ove è attivo un servizio di consegne dei portapranzo ai rispettivi lavoratori considerato all’ avanguardia, ed è risaputo che in esso non vi è mai stato il minimo errore. Stavolta, proprio per mancanza di chissà quale fattorino, il portapranzo di Ila, moglie e casalinga indiana co-protagonista della storia insieme al suo vissuto familiare, interpretata da una bella e intensa Nimrat Kaur, finisce non all’ indirizzo lavorativo di suo marito, come dovrebbe essere, bensì sul tavolo di un contabile, diretto all’ imminente pensione, di un’ importante società: il suo nome è Saajan Fernandez, vedovo, realista, piuttosto scostante, diciamo pure molto antipatico.
Da questo errore, inizia una corrispondenza cartacea tra Ila e Saajan attraverso un portapranzo dalla custodia verde speranza, trasformatosi in particolare cassetta per le lettere, che si tramuterà in qualcosa di sentimentalmente speciale per entrambi i protagonisti.
L’ opera di Batra si basa esclusivamente sui personaggi e sull’ intensa e immersiva recitazione di questi bravissimi attori indiani.
Ritroviamo un viso conosciuto nel personaggio di Saajan Fernandez, ossia l’attore Irrfan Khan noto in molti film da questa parte
dell’ Oceano, tra i quali The Warrior, The Millionaire, The Amazing Spider-man e Vita di Pi , quest’ ultimo del regista premio Oscar
Ang Lee (in cui interpretava il protagonista Pi da adulto), volto a cui non si può non attribuire una chiara bravura espressiva.
Saajan e Ila sono personaggi che vivono nella stessa città senza incontrarsi mai, e se avessero potuto nascere nello stesso periodo, sarebbero diventati una gran bella coppia, seppur modellata da caratteri diametralmente opposti.
Ila è giovane, sposata, mamma di una bambina, con alle spalle il suicidio del fratello e un padre allettato a causa del tumore ai polmoni. Nonostante questo è delicata, dolce, un po’ impulsiva e, per certi versi, timorosa, ma dotata di un grande spirito positivo e concreto, ed è proprio la concretezza il lato caratteriale che più l' avvicina al personaggio di Saajan, il quale è poco espansivo, a tratti cinico e di poche parole.
Nel corso della storia, quindi, conosciamo una Ila a cui presto questo spirito di concretezza sarà messo alla prova a causa della scoperta del tradimento del marito, e leggere negli occhi dell’ attrice questo suo sgomento è fantastico, però non sarà questo avvenimento in grado di portar via alla giovane mamma quella determinazione interiore non comune a tutte le donne, sia indiane che del mondo.
Ila sa essere risoluta e capisce che quello non può essere il suo destino, cioè rimanere in quella casa con la mancanza di parole e d’ affetto, così il ponte tra i suoi pensieri e la sua determinazione diviene appunti Saajan che, lettera dopo lettera, diventerà quasi il suo involontario psicologo, il vaso in cui custodire tutta la propria insoddisfazione e trovare anche dei punti di forza per uscirne vittoriosa.
E’ proprio grazie ad Ila e alla sua aura accogliente che il contabile indiano comincia a mostrare una certa interessante personalità, ed è nelle lettere che scopriamo il suo vero volto, prima piuttosto abbottonato, poi quasi tenero e paterno; nel corso della trama scopriamo che l' uomo è vedovo, prossimo alla pensione, che trascorre la maggior parte del tempo in solitudine e trova che la vita di oggi sia tremendamente frenetica e, nelle sue prime e schematiche disquisizioni cartacee, rimane molto realista, quanto mai ancorato a ciò che vive e che ha vissuto. In più, il contabile non sembra dispiacersi o seccarsi di questo stato di cose, d’ avere quindi finalmente qualcuno con cui potere parlare anche del suo passato, specialmente se quel qualcuno sembra interessarsi a ciò che ha da dirgli, e senza neppure conoscerlo!
Questa strana amicizia sa molto d’ antico, certamente ispirata da film quali “C’è posta per te”; sembra volere recuperare una prassi che, con i social network, ha preso oggi delle vie completamente diverse e, a volte, non neghiamolo, spesso molto più sterili, poiché le identità dietro gli account sono infinite, volubili, interscambiabili e misteriose.
Qui l’ interlocutore è uno solo, er giunta concreto, scrive di suo pugno ed è riconoscibile dalla calligrafia, non si nasconde dietro uno schermo o dice di essere ciò che in realtà non è.
Lo spirito descritto nel film, espresso nei due personaggi e che confessa i propri dolori esistenziali, ha bisogno di un essere tangibile: Saajan e Ila hanno bisogno l’ uno dell’altro perché lei è ciò che manca a lui e viceversa, sono le due facce della stessa medaglia, il portapranzo è solo un ostacolo che ne configura la distanza di vissuto ed età.
Saajan cerca la giovinezza dei rapporti, la spensieratezza, l’ unicità, il poter fidarsi di qualcuno, il potere leggere e dare la propria opinione senza la paura che i proprio pensieri siano sotto gli occhi di tutti e poi vengano condivisi o giudicati senza il proprio volere (pensiero rafforzato dal fatto che, ogni volta che i due si accingono a leggere la corrispondenza attraverso il portapranzo, lo fanno nel riserbo più assoluto, seppur con altre persone intorno), e Ila ha bisogno delle medesime cose magari espresse in maniera più empatica e meno "calcolata".
La poetica visione dell’ immaginario bambinesco è sempre presente sotto le righe di chi ha ideato la sceneggiatura, perché in essa risuonano i tempi in cui ancora non si aveva timore dell’ altro, ma lo si vedeva come un amico fidato a cui confessare anche l’ inconfessabile senza che nessuno lo venisse a sapere, e la bella sensazione di potere lasciare la propria impronta sulla carta in modo che venga percepita come esistente, non pericolante e sola in mezzo ad un mucchio d’ altre divagazioni infeconde e non proficue.
In tale poetica e filosofica visione, non poteva mancare il menestrello di turno, ovvero un simpaticissimo e furbo stagista di nome Shaikh, interpretato da un più che efficace Nawazuddin Siddiqui ("Moonsoon Shootout", "Lion-La strada verso casa").
Orfano, si improvvisa contabile e viene affidato al nostro protaginista perchègli faccia da guida nel lavoro, relazione che non inizia proprio nel migliore dei modi. Shaikh e la sua personalità non comune sapranno svegliare Saajan dall’ intorpidimento che il suo carattere prova verso gli inesperti che, probabilmente, portano i "veterani" solo a perdere tempo prezioso fino a non riuscire a gestire come una volta i loro compiti.
Analizzandone la personalità, Shaikh è un uomo che conserva ancora la semplicità e la gratitudine dei bambini, ne ha certamente lo spirito peperino e la spiccata simpatia.
Abituato a cavarsela da solo, suscita molta tenerezza e, allo stesso tempo, non si può fare a meno di notare che abbia una notevole faccia di bronzo, perciò ben si addice a un personaggio poco espansivo come Saajan: una nemesi che si rivelerà presto positiva per entrambi poiché Shaikh troverà in lui la propria stabilità e il suo mentore, dopo le prime reticenze, vedrà nel suo nuovo collega un amico grato, di quella semplicità di cui parlavamo prima a cui non è stato abituato. Al contrario di Ila, Shaikh rappresenta la realtà, la persona in carne e ossa, non idealizzato, umile e fedele anche se imperfetto, il cui volto si conosce tra lka folla e i cui connotati sono ben precisi, così come le sfaccettature dell’ anima.
Un livello diverso e profondo colpisce l’ universo dello scontroso Fernandez nel corso della sceneggiatura, fatto di inaspettate sorprese e rapporti di lavoro un po’ forzati ma unici, in cui il contabile diventa mentore e padre spirituale per l' amico orfano ed, in contemporanea, guida per la triste donzella addolorata, aggiungendo nuovo spessore ad un fine carriera che fino a pochi giorni prima sembrava certamente piatto, quanto mai privo di nuovi stimoli.
Batra, direttamente dall’ Oriente, legge perfettamente i tempi moderni del suo e dei nostri paesi occidentali e i rapporti interpersonali che li contraddistinguono, e arriva a proporre due personalità che tutto possono raccontare e descrivere perché dotati di un’ espressività e intensità non comuni e invidiabili persino dal mondo di Hollywood. In particolare, il bravissimo Khan diviene quasi a contatto con la pelle del personaggio che interpreta, di cui perfino i movimenti delle mani pare siano stati ricamati su misura.
Con tali consapevolezze, di valore aggiunto è proprio la stessa sceneggiatura, che propone una quotidianità che apre il mondo indiano verso l’Occidente fra utopia dell’ economia funzionale e stabile unita alla conservazione di tradizioni radicate e millenarie che fanno ancora parte delle nuove generazioni, come il sedersi per terra, camminare scalzi o mangiare con l’ aiuto delle sole mani, tradizioni che si è fatto bene a non nascondere e a mostrare con eleganza poichè molto suggestive; una certa malinconia vela tutta la storia, come una voce sottaciuta che non riesce bene a spiegare quanto il paese sia cambiato a causa della modernizzazione, immerso in una realtà che muta troppo e lascia pochissimi ricordi di quello che gli uomini hanno vissuto. Interessante notare la convivialità e l importanza che il popolo indiano dà al cibo: esso è elemento d’ aggregazione e calamita per i rapporti che sembrano non portare in loro alcuna scintilla, ma che, proprio grazie a questo veicolo, si scoprono importanti e ricchi di significato. Il cibo è di nuovo simile all’ uomo: crea legami, e il portapranzo in sè in realtà non significherebbe nulla se non portatore di un qualcosa che non si ferma solo allo stomaco, ma che resta nel cuore di chi aspetta, e aspetta per vivere una vita migliore.
Da portare all’ attenzione di chi legge è senz'altro il messaggio finale, che viene rivelato da Saajan stesso, e che ha il compito di far molto riflettere sulla natura dei rapporti sentimentali fra generazioni opposte, ovvero che, di fronte alla giovinezza di lei, il contabile prossimo alla pensione avverte come una specie di sveglia, che viene innescata nel momento in cui si trova nel proprio bagno per prepararsi all’ appuntamento con Ila, che finalmente ha deciso d'incontrarlo.
E' proprio il bagno il luogo della rivelazione: sentendo intorno a sé l’ odore di un anziano, quale era stato suo nonno, Saajan non incontrerà mai Ila, la scruterà solo da lontano, perché lui stesso sente inadeguata la propria presenza: si sente vecchio, fuori luogo, in una situazione in cui si richiede una certa prontezza d’ animo e voglia di vivere nuovo esperienze.
Il personaggio, in questa cornice, si affaccia sul proprio io come a voler dire “Siamo seri: lei è giovane, piena di speranze, e io sono adulto, troppo adulto!”, perciò non si sente in dovere di risollevare per forza l' anima di una donna giovane che già ha trovato forza di lasciare suo marito e di ricominciare una nuova vita con sua figlia. In questo caso, il rispetto che l’ uomo anziano propone alla generazione nuova è commovente: invece di prendersela ed essere egoista, lui rinuncia e le lascia prendere il volo. Ricorda molto Charlie Chaplin in “Luci della ribalta”, in cui ritroviamo questa stessa consapevolezza nei personaggi di Thereza e Calvero. Poesia d’ altri tempi!
Stilisticamente, la narrazione viene rafforzata specialmente da un taglio fotografico ben preciso: il regista sceglie riprese statiche della vita di tutti i giorni, insistendo molto sui primi piani dei protagonisti con, alle spalle, lo sfondo sfocato della realtà che li circonda e che stanno vivendo, come la casa, la strada e l’ ufficio.
In particolare, Batra affida alla Kaur, una intensa e affascinante Kaur, il potere di far leggere allo spettatore i sentimenti di Ila attraverso le immediate espressioni del viso e il luccicare dei profondi occhi scuri, senza spiegazioni o parole, semplicemente affidandola così com’ è agli occhi di chi guarda la scena.
La naturalezza con cui gli attori affrontano le scene è brillante: Khan aiuta noi spettatori a sentirci parte della composizione scenica solo attraverso un sogghigno o uno sguardo preoccupato,e guida alla scoperta della lettura delle lettere con modi efficaci attraverso i movimenti precisi e svelti della dita e le espressioni compiaciute nel leggere qualcosa che gli interessa, mentre la Kaur, come già detto, bravissima nello sfoderare emozioni forti, è capace di passare dallo sgomento alla risata in un battibaleno, per non parlare di Shaikh, o meglio Nawazuddin Siddiqui, che meglio non poteva interpretare un personaggio così pieno di sfumature e quanto mai difficile da scoprire tutto in una volta.
Concludiamo col dire che “Lunchbox” è uno spaccato di vita oltremodo interessante e sentito, diverso da tutti i film di genere indiano (Bollywood appunto!): più internazionale, pieno di significato, in cui tutti i personaggi collaborano insieme al regista in un bel film dai grandi sentimenti che sa tanto di vecchi film in bianco e nero, quelli che una volta sapevano trasmettere emozioni senza necessariamente utilizzare melodrammi o eclatanti e assurde trovate, il tutto cementato da un’ atmosfera d’ altro paese che non disturba ma fa godere appieno le sue visioni quotidiane, che tutto hanno da dare meno che l’ assurda e sporca visione metropolitana delle città dei giorni nostri in Occidente.
Più che mai consigliato!
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