Regia di George Martin (Alfonso Balcázar) vedi scheda film
Più dramma che western, il film di Balcàzar ha pregevoli risvolti nonostante la chiara povera produzione. Innanzitutto Klaus Kinski: l'insuperabile icona di molti horror e thriller all'italiana, nonchè di tantissimi spaghetti-western, veste qui i panni ambigui di un cacciatore di taglie che ha più dell'angelo custode, o del diavolo tentatore, che solo alla fine del film prenderà una sua precisa connotazione. Questa presenza inquietante ed ambigua che osserva, studia e si gode i fatti narrati nella pellicola italo-spagnola, è una presenza efficace e artisticamente valida. Potrebbe sembrare buttata lì, giusto per dare un nome importante al film, invece diventa (o Kinski la fa diventare) il motore della storia: infatti ci si può chiedere se alla fine protagonista e killer si scontreranno nonostante essersi aiutati più volte, oppure se il killer di Kinski sia una figura metafisica che da un lato spinge George Martin ad uccidere, ma dall'altro ad impedirglielo. O ancora, ci si può chiedere se il continuo interesse di Kinski/Killer alla vicenda di Martin/Clint sia piuttosto un intento sadico per tirare la corda fino a quando non si spezzerà durante lo scontro finale, che poi non arriverà. Insomma, una presenza quella dell'attore tedesco che è diventata funzionale solo grazie alla sua bravura.
Ma il film va ricordato anche per il buon montaggio, e per la violenza precisa e non sbandierata gratuitamente come in altri, e riuscitissimi tra l'altro, spaghetti western. Un piccolo giallo riguarda l'accredito di Fernando Sancho che nel film non c'è, eppure persino la Bibbia del cinema, IMDb, lo mette tra i protagonisti.
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