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Il ritorno di Clint il solitario

Regia di George Martin (Alfonso Balcázar) vedi scheda film

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La recensione su Il ritorno di Clint il solitario

di giurista81
4 stelle

Sequel di “Clint il solitario” prodotto e diretto dallo spagnolo Alfonso Balcazar, con risultati più o meno altalenanti. Giudicato da quasi tutta la critica del settore come un’opera pessima, “Il ritorno di Clint” è uno dei pochi western del 1972 che antepone l’elemento drammatico all’azione, senza proporre alcune traccia di quell’ironia e comicità che andava per la maggiore nel periodo. 
Protagonista è un George Martin, dal petto pelosissimo e dall’espressione granitica, nei panni di un pistolero che ha deciso di ritirarsi con la famiglia in un ranch, giurando alla moglie (una castigatissima Marina Malfatti, quasi irriconoscibile rispetto ai suoi thriller) di non usare più le pistole. L’uomo, di ritorno dopo cinque anni di latitanza, viene accolto freddamente dai figli e viene sottoposto agli abusi di un manipolo di bulli, intenzionati a costringere i coloni a vendere le terre a prezzi irrisori. In più, come se non bastasse, Clint vede materializzarsi in città una sorta di fantasma proveniente dal passato: un cacciatore di taglie (Kinski), assoldato per portarlo in carcere in cambio di una taglia di 5.000 dollari per un omicidio compiuto alcuni anni prima. La particolarità di questo bounty killer (uno dei pochi personaggi di spessore proposti dalla sceneggiatura) è quella di assumere un atteggiamento ambiguo, quasi da spettatore dei fatti, con Kinski che se ne sta a osservare tutte le sue azioni del protagonista ridacchiando con un sigaro in bocca, fino a intervenire in favore della sua preda.
Il film si sviluppa lentamente, ma in modo mai noioso sebbene lo script sia poco originale, sfilacciato (il flashback iniziale che copia, fotografia compresa, quello di “Per qualche dollaro in più” è poco chiaro) e il montaggio non perfetto. Abbastanza ingenui alcuni momenti (si veda come viene incastrato un vecchio accusato di un assassinio che non può aver compiuto per ovvie ragioni). Romantico il finale, tanto da esser riproposto dal film di arti marziali “Lionheart” con Jean Claude Vandamme.
La regia di Balcazar è spesso incerta (le scazzottate sono macchinose e non girate con la bravura tipica dei registi italiani, tanto che lo stesso Balcazar ricorre spesso alle soggettive per togliersi dagli impicci) e non offre momenti memorabili, anche a causa di un budget che sembra essere irrisorio. Il momento migliore è quello con Martin legato a una ruota e fatto volteggiare a suon di colpi di pistola sparati sulla stessa (scena che ricorda un western di Sollima).
Eccezionale Klaus Kinski (presenti alcune battute riprese quasi pari pari dal suo bounty killer de “Il grande silenzio”), qui abbastanza tranquillo ma decisamene migliore della comitiva con una folta chioma bionda e un’aura da angelo della morte. Non brillano gli altri attori. Brutta la fotografia, non eccezionale la colonna sonora di Morricone. Tra alti e bassi, con prevalenza dei secondi. Voto: 5.5

Su Klaus Kinski

Grande, senza di lui il film sarebbe precipitato.

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