Regia di Richard Marquand vedi scheda film
Un titolo travagliato (sia in italiano che in inglese). Qualche ingenuità, un attore insospettato a dar volto a Darth Vader, e la Galassia che si riduce e compendia nel confronto padre-figlio. La fine di una saga, che la consegna per sempre all'immaginario di noi, eterni sognatori di favole stellari di qualunque età.
Un titolo sbagliato
La storia del titolo di questo film è senza dubbio una delle più travagliate: pochi lo sanno, ma Lucas aveva già realizzato migliaia di locandine con il titolo ufficiale: Revenge of the Jedi. Poi si è reso conto che un jedi non può farsi vendetta, e, così, ha ritirato tutto (rivendendo le locandine a 9,50 $ l’una ai circoli di fan della saga), approvando come titolo definitivo Return of the Jedi. E questo riguarda l’opera originale.
La peculiarità, nella versione, italiana, sta nella storpiatura grammaticale, evidenziata a decenni di distanza perfino dall’Accademia della Crusca: nonostante la parola jedi si pronunci come se la j fosse una g, il doppiaggio italiano ha trattato il titolo come se si pronunciasse nel modo opposto, cioè, per esempio, come diremmo della squadra di calcio della Juventus. E, benchè in nessun dialogo dei film si senta parlare “dello jedi”, nel titolo è finita così. È un mistero che fa sicuramente il paio con la “guerra dei quoti” (clone wars) del primo episodio.
Certo, se il buongiorno si vede dal mattino, qui gli auspici non sono proprio i migliori!
La fine di tutto
Diciamolo subito: i film della Disney sono una porcheria che non c’entra niente né con la storia originale, né con i personaggi, né con la visione del loro ideatore, George Lucas. Quei sequel, che tecnicamente si collocano successivamente a questo film, sono soltanto l’espressione cinematografica della sete di denaro di Lucas e della Disney, culminate in un patetico alterco tra i due, allorchè il primo si è reso conto dello stupro della sua creatura, e la Disney ha minacciato di fargli causa, spingendolo a ritrattare le tremende esternazioni a danno del primo sequel.
Piaccia o no, la cronologia della saga finisce qui. Ovviamente i prequel, pur sempre espressione della storia che qui era stata sviluppata parzialmente, essendo venuti dopo, in realtà aggiungono molto, pur collocandosi però prima nel tempo.
Allorchè, nel 1983, questo film vide la luce, nessuno si immaginava che dopo quasi 20 anni sarebbero arrivati i prequel, e fino al 1999 tutto quell’universo si risolveva in questo finale.
La sensazione che ho sempre avuto, fin da bambino, era che non fosse proprio all’altezza del resto: ricordo perfettamente la delusione nel vedere il volto di Darth Vader, che proprio non rispecchiava le fattezze che io (e gli altri, ho sempre pensato!) mi aspettavo. Il finale ci spezza il cuore, e non è come lo avremmo sperato: da un lato possiamo apprezzare l’assenza di buonismo ed eccessivo inseguimento del bel finale a tutti i costi. Dall’altro lato, però, resta sicuramente un po’ di amaro in bocca. Forse perché le aspettative ingenerate dai primi due film erano assai elevate. O forse perché concludere un’opera è sempre la parte più difficile, e probabilmente la complessità aumenta di pari passo con la qualità di ciò che precede.
Contraddizioni, nonsense, e ritrattazioni postume
Nelle versioni rimasterizzate e “aggiornate” assistiamo a una sostituzione che fa gridare allo scandalo: Darth Vader viene sostituito con l’inserzione di Christensen, che da un lato presuppone che lo spettatore abbia visionato la trilogia prequel, e, dall’altro lato, stona completamente. Perché Obi-Wan non diventa McGregor, ma rimane Alec Guinness, per esempio?
Ci sono, poi, incongruenze che, come qualcuno ha osservato, sarebbero in realtà presenti nella seconda trilogia, che, essendo stata realizzata dopo, avrebbe dovuto rispettare i dettami della precedente. Pensiamo, per esempio, al discorso tra Luke e Leia sulla madre, dove lei riferisce di ricordarla triste quando era piccola, ma nel prequel la vediamo spirare che a stento loro sono nati.
Sicuramente non mancano contraddizioni, o, perlomeno, sviluppi insensati a livello interno. All’inizio del film vediamo un Luke perfezionato come Jedi, ma Obi-Wan era già morto dal primo episodio e Yoda l’aveva lasciato prima di concludere la propria preparazione, nel film precedente. Secondo la linea temporale ufficiale è passato un anno dal film precedente, mentre secondo il romanzo sarebbero solo sei mesi. In ogni caso, in questo tempo sappiamo che Luke non è neppure tornato da Yoda. Ma, allora, come fa a essere migliorato nelle arti jedi? È un mistero. Che siano 6 mesi o un anno, comunque ci chiediamo perché così tanto tempo per tornare su Tatooine. Sorvolando su questo, non può passare inosservata la battuta sulla condanna a morte mediante lenta digestione per… un migliaio di anni. Be’, dai, se non altro questa creatura tremenda, prima di ammazzarti quindi ti allunga la vita di 900 anni abbondanti!
Sempre sul filo dell’insensatezza, il dialogo tra Luke e Yoda, così riassumibile: “Mi devo ancora addestrare”, “No, ormai devi solo combattere contro Darth Vader per completare il tuo addestramento”, “Con Darth Vader ho già combattuto”, “Come hai potuto, non eri pronto?”….. Ammettiamolo: avremmo voluto Massimo Troisi, con la sua retorica, a confrontarsi con questo ottuso Yoda, a cui sembra non andare bene niente: sarà forse l’età che lo ha un po’ rintronato?
Scherzi a parte, la trama di questo episodio sembra un po’ arrancare: il primo sembra un frullato, in cui si percepisce di tutto un po’, senza aver modo di distinguerlo precisamente dal resto. Meglio il secondo, assai più armonico, mentre qui sembra quasi scarseggiare il materiale narrativo.
Padre e figlio, il centro della galassia
L’aspetto più interessante di questo episodio è probabilmente nel confronto padre-figlio, che finalmente raggiunge uno sviluppo più concreto, finendo per assurgere a elemento trainante, sia pure un po’ troppo tirato per i capelli nel capovolgimento, che sembra obbedire a ragioni di copione, più che seguire un qualche tipo di tangibile evoluzione morale.
Qualcuno ha osservato come la centralità della figura di Anakin nella trilogia prequel, aggiungendo inutilmente il concetto di prescelto, abbia sottratto molto alla figura di Luke, attorno al quale ruota la trilogia originale. Qui il destino di Mark Hamill sembra un po’ sovrapporsi a quello del suo personaggio: dalle stelle alle stalle, potremmo dire. Infatti, tanto ha brillato il loro astro durante la prima saga, tanto sono finiti nel dimenticatoio più totale in seguito: la carriera di Hamill ha avuto ben poche gratificazioni, e nulla di nemmeno lontanamente comparabile a ciò che l’aveva lanciato. Così, il suo Luke a stento compare nei prequel, che, un po’ frettolosamente, ce l’hanno consegnato così, appena neonato.
Se dovessimo fare un paragone, la partecipazione e la presenza scenica di Hamill, rispetto a quelle di Christensen, sono infinitamente superiori, e riteniamo che avrebbe meritato ben altra sorte.
In quest’episodio assistiamo ai duelli più spettacolari con le spade jedi, il che ci porta pure a osservare quanto pochi siano stati, in realtà, in tutta la prima trilogia, benchè nell’immaginario collettivo nulla rispecchi più Guerre Stellari, dei classici duelli a spade laser.
Una nota stonata, in tutto ciò, appare il riferimento a Leia, come possibile erede alternativa: perché? Come? Soprattutto, abbiamo visto che essere jedi significa prima di tutto addestrarsi… ma lei chi potrebbe ormai addestrarla, se Luke venisse meno? Insomma, tutto torna a gravitare attorno a Darth Vader e a Luke
Via la maschera!
Uno dei principali pregi della regia di questa saga è stata la gestione, più che parsimoniosa, del personaggio di Darth Vader, che viene svelato pochissimo e poco per volta: l’attesa per il gran finale è quindi ormai al vertice del suo climax, e tutti vogliono vedere chi si cela dietro la maschera. Solo che, appena essa cala, ci rendiamo immediatamente conto che quella faccia lì, con quel corpo e con quel personaggio non c’entra proprio niente. Innanzi tutto si vede perfettamente che si tratta della parte apicale di un corpo tarchiatello e non di certo alto né tantomeno slanciato. Inoltre, ci aspetteremmo un individuo tra i 40 e i 50, e scopriremo poi che questa stima è esattamente in linea con la cronologia ufficiale, che riporta Luke nato quando Anakin ha solo 23 anni, e sappiamo poi che Luke ne ha 19 nel primo film della saga originale, quindi alla sua conclusione Anakin dovrebbe averne al massimo 44-45. E, invece, ci troviamo dinanzi a un attore che ne aveva all’epoca ben 77, Sebastian Shaw! Questa forzatura pare sia stata dettata dalle pressioni di Alec Guinness/Obi-Wan Kenobi, amico di Shaw, che lo sapeva in difficoltà economiche, e che avrebbe condizionato la propria partecipazione alle riprese a ciò.
Il povero David Prowse, l’unico e autentico attore “dentro” Darth Vader, si era già visto privare della voce durante tutte le riprese, a favore di James Earl Jones, in quanto il suo modo di parlare “da campagnolo” non era stato ritenuto degno del personaggio. Tra l’altro la scelta fu fatta in post produzione, a sua insaputa. Poi si vocifera che a questo ennesimo smacco la produzione abbia addirittura deciso di girare separatamente, perché Prowse non percepisse la sostituzione. In ogni caso, tra l’attore e Lucas i rapporti si fratturarono al punto che Prowse non era generalmente neppure invitato agli eventi pubblici o agli incontri con i fan.
Tanto agli occhi del bambino, quanto a quelli dell’adulto, questa storpiatura risulta un pugno nello stomaco, e conoscerne le ragioni, oggi, a decadi di distanza, non può che aggiungere rammarico, pur facendo almeno chiarezza una volta per tutte.
Nani, ballerine e… fuochi d’artificio
La novità principale de Il ritorno dello jedi sono gli Ewoks, le simpatiche creaturine pelose che terranno banco per un certo numero di spin off, e per molto merchandising. Sicuramente dedicati in gran parte al pubblico più giovane, posso confessare di averli sempre detestati, allorchè, da bambino delle elementari, li consideravo una nota stonata e un abbassamento del livello generale dell’opera. In questo scontro titanico tra impero e ribelli, tra jedi e cavalieri oscuri (la parola Sith, nella saga originale, appariva soltanto in una scena, poi tagliata, del primo episodio), tra incrociatori stellari e astronavi in grado di superare la velocità della luce, mettere le sorti della ribellione nelle pelose manine di questi proto-orsacchiotti sembrava francamente un po’ ridicolo.
D’altro canto, l’episodio finale sembra anche segnare il ricongiungimento ideale (e idealistico) con una dimensione più naturale, più intima, in cui le macchine sono destinate a cedere il passo alle creature viventi: vediamo in questa civiltà primitiva una specie di contraltare rispetto a quella, ipertecnologica, che caratterizza il male.
Non mancano scene conviviali, e una certa leggerezza che sembra l’esito naturale del sopravanzare del lato buono rispetto a quello nefasto e oscuro.
Il finale verrà poi rielaborato digitalmente per inserirvi mondi che vedremo nel prequel, e aumentare un po’ l’impatto visivo generale, pur dovendo come sempre constatare come le aggiunte digitali siano talmente fittizie da preferire le versioni originali e “pure”.
Guardiamo dipanarsi dinanzi ai nostri occhi le ultime avventure dei nostri, sospesi in una sensazione mista tra il desiderio di scoprire come evolverà il tutto, e l'ansia per la sempre più imminente conclusione dell'opera.
Fine.
Questa mia serie di recensioni della saga è sospesa tra il diario personale, la riflessione collettiva e la critica vera e propria: forse è soprattutto un modo per rielaborare, a distanza di oltre 40 anni dalla prima visione, un universo immaginario che per me, e per molti altri, è stato molto più di questo. E’ stata, forse, la favola dei nostri tempi e fuori dal tempo, capace di dispensare un po’ di tutto a tutti: a chi, come me, sognava di viaggiare nello spazio, a chi cercava una dimensione trascendentale, a chi cercava una storia d’amore, d’amicizia, etc. Ognuno di noi ha potuto proiettare sogni e bisogni in questa trilogia, perché gli spunti sono molti, e, almeno all’epoca, originali. Non è la fantascienza di Star Trek, soprattutto perché non ha la pretesa di scientificità: al contrario, il racconto è fiabesco, così come lo sono i personaggi. Epurata la componente futuribile e tecnologica, Guerre Stellari potrebbe tranquillamente essere una favola di ambientazione medievale: basti pensare ai numerosi parallelismi tra Luke e Parsifal, tra la forza e il Graal, o, ancora, al nome stesso di uno dei robottini, RD-D2, che nell’originale richiamava Artù. Stregoni, creature strane e dalle forme inusitate, paludi, luoghi incantati, mostri paurosi, principesse, costumi di ispirazione samurai, richiami alle filosofie orientali… E chissà quant’altro.
Pur con tutte le sue imperfezioni, gli avvenimenti tirati un po’ per i capelli, qualche effetto speciale un po’ raffazzonato, e personaggi a volte inverosimili… a Guerre Stellari va l’indubbio merito di aver offerto ispirazione a svariate generazioni di sognatori, che, probabilmente, oggi guardano ancora questi film con un misto di stupore, affezione, nostalgia e malinconia. Non tanto per quei personaggi lì, ma perché in loro potevamo specchiarci: chi non avrebbe voluto essere un po’ Luke, un po’ Darth Vader, un po’ Han Solo?
E forse è anche per questo che, a distanza di decenni, riusciamo a prenderla sul personale quando esce un nuovo film che attinge a questo universo, solo per lucrarci attorno: in fondo, è un po’ come se ci portasse via un pezzo di noi, e dei sogni che abbiamo sognato.
È per questo che molti considerano la saga conclusa con Il ritorno dello jedi, vedendo in tutto il resto solo operazioni commerciali.
Ci piace lasciare aperta una porta, almeno al prequel di Lucas, che – se non altro – si può considerare frutto di un progetto in larga parte comune, e anche base narrativa per tutto ciò che nei primi film era a malapena accennato. Certo, d’altro canto quei prequel hanno anche inciso sui capostipiti, il cui gap tecnologico negli effetti speciali si è palesato impietosamente, ma, d’altra parte, ha pure messo in evidenza come i personaggi digitali siano palesemente finti, mentre i pupazzi, Yoda per primo, sembravano creature viventi a tutti gli effetti.
Sicuramente immonde le speculazioni postume della Disney, che non meritano neppure di essere agganciate al resto.
Malinconia anche nel sapere che sono venuti a mancare molti del cast originale: Carrie Fisher, David Prowse, James Earl Jones, Alec Guinness, Peter Mayhew, Kenny Baker.
Insomma, Il ritorno dello jedi avrebbe potuto essere di più, diverso, e meglio: su questo non c’è dubbio. Neppure v’è dubbio, però, che al netto delle critiche (sempre possibili), ci abbia emozionato, coinvolto, commosso, fatto sorridere e riflettere, e abbia consegnato per sempre alla storia ciò che Guerre Stellari è e resterà per sempre nel cuore e nei sogni dei suoi spettatori, eternamente inclini a nutrire il bambino sognatore che è in ognuno di noi. Forse illusi, o, forse, semplicemente consapevoli che… la forza sia con noi (se siamo disposti a cercarla).
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