Regia di Harmony Korine vedi scheda film
La perdita del senso.
Di qualunque senso. Senso umano, senso civile, senso cinematografico. Trash Humpers è uno sputo fatto su una pellicola, è il figlio generato da un uomo travestito da anziano e un cassonetto. Harmony Korine crea un caposaldo del Non-Cinema, un flusso ininterrotto di situazioni deliranti e assurde, in cui l'estetica dell'orrido si esprime nelle sue forme più alte e irraggiungibili. Creando un ibrido scanzonato e autoannichilente di Idioterne, August Underground, Pink Flamingos e Bad Taste, il regista di Gummo e Spring Breakers destruttura l'arte cinematografica senza timore e senza requie, proponendo una situazione dopo l'altra tramite una presa diretta, come se l'intero film fosse registrato su VHS. Un film che è l'incarnazione stessa della provocazione, un insulto alla logica, il superamento dell'animalesco. Gli esseri uman(oid)i dietro quelle maschere tanto deformate e spaventose sembrano i re incontrastati di un oggi deformato, mostruoso e fangoso, un paesaggio post-apocalittico in cui non si ha più paura dello scandalo, in cui un'umanità degenerata e assurda racconta la propria storia a una banda di squinternati che passano le loro giornate (sempre che in Trash Humpers, vero e proprio Nulla, esistano il Tempo e lo Spazio) violentando oggetti animati o inanimati (anzi, quasi essenzialmente i secondi), distruggendo oggetti (vetri, mobili, ma con un'attrazione morbosa nei confronti dei televisori) e lanciando petardi, come del tutto fagocitati da un mondo espulso dalla logica ordinaria, e in cui la vita normale sembra non passare più. Non c'è trama, non c'è linearità, non c'è mondo, non c'è umanità: Trash Humpers è un conseguenziale vuoto, che non aggiunge né toglie nulla. Si limita a guardare dal di dentro (lo si può ben dire, poiché adotta uno sporco genere POV). E' un film dell'orrore che non inizia e non finisce, ma alterna luce ed ombra, urla e risate, fragori e nefandezze, fino a uno straccio di (in)volontaria poesia nel finale, interrotto anch'esso sul chi vive, ma anch'esso deforme, spiazzante, illuminato forse, ma da un palo della luce, che possibilmente si potrà sodomizzare al più presto. Anche se dura solo un'ora e quattordici minuti, il film finisce addirittura per tediare, per le lunghe ripetizioni, per lo sfiancante degenere delle situazioni, per il fatto che lo spettatore finisce per abituarsi a tutto: e forse è proprio questo il terribile, sapersi adagiare e saper finire un film come questo senza sconvolgersi, come se quello che si è appena visto appartenga al mondo, quando invece è forse l'escremento stesso della razza umana. Fatto sta che se non fosse per quel finale, rozzo e squilibrato, il film di Korine lascerebbe ben poco, perché il cinema ne risulta destrutturato, distrutto, sì, ma non sepolto; perché di fronte al nonsense Korine non ha necessità di impegnare sforzi estremi per sapere cosa mostrare, e, in parole povere, può mettere in scena tutto; perché non riusciamo a impressionarci, in un film in cui l'impressione per ciò che (non) si vede è (o vorrebbe essere) il motore principale.
Forse è meglio così, il film vuole essere decisamente odiato. Mantenendoci coerenti, lo accontentiamo.
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