Regia di Rithy Panh vedi scheda film
Un'immagine utile e necessaria per testimoniare l'orrore.
Un particolare che sarebbe di vitale importanza per rafforzare le coscienze ed evitare il ripetersi di catastrofi scientemente volute dall'uomo.
Perché l'uomo ha bisogno di simboli chiari ed evidenti che gli consentano di non ricadere sugli errori e sugli orrori del passato. La storia scritta non basta per fargli assimilare certe lezioni del passato. Serve un'immagine a confutare ciò che non deve essere più ripetuto.
Il regista Rithy Panh cerca invano la foto che possa rappresentare meglio l'orrore vissuto sulla propria pelle, ed ancor più di quella della sua famiglia morta letteralmente di stenti per opera del regime assoluto instaurato in Cambogia tra il 1976 ed il 1979 ad opera dei Khmer Rossi capitanati dal folle spietato dittatore comunista Pol Pot. La sofferenza fisica, morale e il devasto perpetrato da parte della follia di un leader a danno di una moltitudine di vittime.
Un massacro per cui persero la vita, tra stenti e stragi, esecuzioni e fatiche durante i lavori forzati, quasi un terzo dell'allora popolazione.
Ma le riprese dell'epoca erano molto rade, accuratamente selezionate e “telecomandate” dal regime per ritrarre una parvenza, falsa e abilmente ricostruita come in tutti i regimi assoluti, di una ipotetica organizzazione sociale perfetta, basata su un concetto di comunismo assoluto e totalizzante, spersonalizzante, aggregante; sulla carta e a livello puramente ideologico uno strumento degno del più giusto e retto dei paradisi umanamente concepibili, l'unico progetto in grado di rendere il singolo individuo unicamente giustificabile in quanto parte del gruppo, operativo solamente al servizio della comunità fondata sulle regole di una ancora più assurda e mortifera operosa armonia assoluta.
La realtà invece narra di lavori forzati presso le risaie in cambio di una razione sempre più esigua di cereale, insufficiente al sostentamento, tanto più al ritmo di quei lavori massacranti; disprezzo dei diritti inalienabili del singolo, della cultura, considerata un viatico di perversione e di sviamento dalla dottrina comunista.
E per conseguenza diretta, morti ovunque: massacrati come dissidenti, morti di stenti, sfiniti dalla fame.
Il racconto del regista, all'epoca ragazzo, vorrebbe essere supportato da immagini adeguate per sintetizzare l'orrore; in mancanza di tutto ciò, egli trova il modo, esemplare, di ricostruirle e di filmarle abilmente, seguendo la fissità incredibilmente e drammaticamente espressiva di statuine di terracotta, perfettamente incastonate in un ambiente miniaturizzato che riproduce fedelmente un tragico quadro naif dell'orrore più puro: un presepe tragico di un massacro con pochi precedenti nella storia tragica delle ignominie umane.
L'immagine mancante, appropriato Prix du Certain Regard al Festival di Cannes 2013, colpisce duro i sentimenti dello spettatore, che non potrà dimenticare quella incredibile capacità espressiva che un insieme di statuine di fatto inanimate e persino un po' rozzamente stilizzate nei tratti, riescono a riprodurre ed esplicitare, grazie ad una fissità dolorosa che diviene l'emblema della sofferenza e della morte, testimonianza preziosa di uno degli episodi più sciagurati della travagliata storia dell'umanità.
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