Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film
Poteva forse, quell'Alan prepotente ed infervorato che da ormai tre anni vive in me, lasciarsi sfuggire l'occasione torinese del festival per non approfittare della proiezione, a pochi passi dalla Mole, dell'ultimo celebrato film del pluri-premiato regista cinese Jia Zhang-ke? Domanda retorica e di semplice risposta per chi un po' mi conosce. Follia mia a parte, Il tocco del peccato è davvero un film eccezionale e da non perdere. Già le prime folgoranti immagini di un brutale agguato finito nel sangue (ai danni degli assalitori), quelle di un camion riverso ai limiti di una strada perduta tra le rocce di una zona semi-desertica, con una marea rossa di pomodori sparsi sul ciglio stradale e approssimativamente radunati uno sull'altro, è indicativa e significativa del livello eccezionale di tutto ciò che seguirà e ci verrà proprosto dall'eccezionale cineasta. Come in una staffetta dove i corridori si passano il testimone e procedono singolarmente ognuno la sua storia, così nel film del regista cinese quattro individui si passano uno con l'altro, sfiorandosi o per il tramite di qualche emissario inconsapevole, lo spettro invisibile del peccato, intenso - a mio giudizio - come la cattiveria e la malvagità insita nell'essere umano quando questi, alle corde e per difendersi da un pericolo imminente, si difende con la furia e l'aggressività di una belva ferita. E dunque assistiamo in sequenza ad una auto-difesa personale da una tentata imboscata ai danni di un ragazzo che torna al paese natio per la festa di compeanno della madre, agguato che si trasforma in una carneficina e fa maturare nella presunta vittima/carnefice, la naturale predisposizione ad usare l'arma da fuoco di cui è provvisto, per facilitarsi la vita ed arricchirsi in poco tempo senza faticare. Allo stesso modo un burbero minatore, oppresso da un senso di depressione furente per una ingiustizia subita in seguito ad una mancata osservanza di una promessa ricevuta dal suo ricco padrone, si arma di fucile e dopo essere stato percosso violentemente, matura una sua vendetta implacabile che lascia dietro se' una scia implacabile di sangue. Seguiamo ancora le vicissitudini di una gentile receptionist di una sauna che deve imparare suo malgrado a difendersi dalla rozzezza manesca di due clienti sbruffoni ed importunatori. Pure qui finisce tutto in un bagno di sangue, mentre nell'ultimo episodio un giovane laborioso ragazzo è costretto a cambiare continuamente occupazione a causa dei soprusi e delle regole arbitrariamente decise dai propri datori di lavoro: una frustrazione che diviene un malessere sempre più difficile da sopportare e che porterà il giovane al suicidio. Non c'e' molto spazio per la speranza in un futuro migliore o più sereno, in questa Cina che si occidentalizza certo, ma non sembra fare molti progressi in termini di serenità e soddisfazione di vivere. Attorno a queste storie drammatiche raccontate con destrezza e acuto senso del dramma, il regista non perde di vista il paesaggio incredibile e crudemente saturo di contrasti, accentuati dalla magica presenza di vedute di orti coltivati con millimetrica precisione, sovrastati all'orizzonte dall'ombra del cemento di spettrali e moderne costruzioni avveniristiche della modernità che avanza e fagocita tutto quanto, tradizioni, modi di essere, oltre che umiltà di vivere e sofferenze. Un nuovo modo di patire sofferenze, piu' di natura cerebrale, quando anche il mite lavoratore trova la forza di ribellarsi e farsi giustizia. Un film ecceziinale, duro, spietato, senza appiglio davvero evidente ad un barlume anche tenue di speranza.
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