Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Maschere Nude è il titolo emblematicamente scelto da Luigi Pirandello per la propria raccolta di opere teatrali, l'uomo post-moderno de-privato della propria maschera, si ritrova ad essere privo di etichettature imposte da altri o da sè stesso, ma così facendo, risulta incapace di sopportare la propria condizione, poichè egli sente la necessità di cristalizzarsi in una forma ben precisa, data l'incapacità di vivere nel flusso della vita perchè impossibilitato ad un'esistenza a-schematica e quindi anti-sistema, predisposizione d'animo che ad Inarritu manca del tutto, come si vede in questo sopravvalutato Birdman (2014), dove il regista messicano dietro un flusso intricato di personaggi, parole e spacconate tecniche, con l'oramai famoso quanto osannatissimo piano sequenza tanto decantato quanto sterile a lungo andare, cerca di nascondere il vuoto concettuale alla base della sua opera, per la verità molto facilona e che sà di già visto in ogni sequenza per qualunque spettatore abbia letto qualche paginetta dei lavori di Pirandello.
Riggan Thomson (Michael Keaton) è lo stereotipo superficiale della figura pirandelliana, che vive un contrasto dilaniante tra vita e forma; ex-celebrità di successo grazie alla serie super-eroistica Birdman, ad inizio degli anni 90', oggi l'attore vive una fase di declino e cerca rispettabilità tramite l'adattamento teatrale di un'opera di Carver messa in scena a Broadway, che dovrebbe dargli consensi critici a cui aspira disperatamente in modo da occultare finalmente il personaggio di Birdman, oramai divenuto parte essenziale della sua persona e che invece lui tenta in ogni modo di cancellare dalla propria esistenza, se non fosse per un pubblico che oramai lo identifica come tale quanto lui stesso incapace di zittire le voci del proprio "alter-ego", che lo spinge ad accettare sè stesso e darsi alle offerte miliardarie per un Birdman 4, il che lo porta a vivere in un costante status mentale alterato per via della sua schizofrenia, che pregiudica sempre di più le varie anteprime dello spettacolo, facendo temere il disastro critico alla prima dello spettacolo.
Vedendolo e rivedendolo per capire dove si nasconda il capolavoro, si può giungere alla conclusione di come Birdman non sia altro che di una banalità tematica unica, poichè dietro l'abilità nel complicare inutilmente all'inverosimile le cose in modo artificioso e poco spontaneo, come è da sempre con i film di Inarritu, fatta eccezione il brillante quanto sincero esordio Amores Perros (2000), c'è sempre una sorta di scatola vuota contenutistica, anche se questa volta il messicano rivolge la sua attenzione al cinema, ma in modo trasversale, poichè si serve del teatro e del gioco meta-teatrale/cinematografico (facile l'assonanza Birdman-Batman, nonchè l'autobiografia di Keaton), per muovere la sua critica ad una settima arte americana da lui percepita sempre più in crisi e lontana dalle esigenze artistiche, per seguire le mode dettate dallo spettatore, il quale esige blockbuster rumorosi di stampo super-eroistico, con tanta azione, esplosioni ed effetti speciali, per poi vampirizzare tale filoni con sequel vari, facendo sempre più soldi nonostante la scarsità di idee. Riggan tra una situazione familiare allo sbando e le anteprime con sempre più problemi, cerca di sfruttare il palcoscenico come trampolino di rilancio, per fare ritorno alla settima arte, nella speranza di ottenere offerte di rilievo.
Posto così Birdman è stato incautamente salutato da qualche critico ignorante come un nuovo Eva contro Eva di J.L. Mankiewicz (1950), se non addirittura come un aggiornamento di Viale del Tramonto di Billy Wilder (1950), però il primo si concentrava sul teatro senza voler fare analogie con il cinema se non per la competizione attoriale, mentre la leggendaria pellicola Wilderiana affondava le radici della propria critica nella settima arte, di preciso al divismo della macchina industriale di Hollywood, nonchè nella sincera spontaneità di un'artista con la predisposizione d'animo veramente anti-sistema in ogni singolo frame del proprio capolavoro assoluto, che faceva a pezzi Hollywood, risultando impossibilitato a sottrarvisi solo perchè era impossibile un cinema fatto negli USA al di fuori degli studios in quel periodo lì, ma per questo suo attacco, il regista pagò l'ostilità di taluni produttori e la mancata vittoria dei premi pesanti agli oscar, troppo scottati dalla satira nerissima del film, quando invece con Inarritu, da bravi radical chic, hanno abboccato allo specchietto delle allodole di una superficiale critica ai cinefumetti miliardari (su cui loro campano e finanziano opere come quella del messicano, poi per inciso, ci sono cinefumetti che valgono 1000 volte Birdman), per riempire di oscar un'opera ruffiana e furba, che vuole tanto essere controcorrente, per poi entrare alla notte dei premi dalla porta principale, sancendo così il totale fallimento di tutta la baracconata. Inarritu straborda Birdman con il proprio ego registico, stra-riempie il film di steady-cam, con cui realizza il tanto decantato piano sequenza (tra l'altro falso, quindi inutile e farlocco), una tecnica che dovrebbe essere naturale ed armoniosa nell'utilizzo, come del resto ci hanno insegnato Renoir, Wyler, Welles, Hitchcok, ma anche un De Palma nei suoi ampi virtuosismi immersivi, così come Tarr o Sukurov nella sua sperimentazione, quindi oltre a non aver inventato nulla di nuovo arrivando in ritardo rispetto a tutti, il cineasta messicano cala dall'alto un artificioso barocchismo, magari interessante per metà film, grazie anche alle doti del direttore della fotografia Lubezki, con il quale però gratuitamente dà sfoggio ad un virtuosismo alla lunga sempre più fine a sè stesso (poi quando mai Inarritu ha diretto così? Sembra voler essere per forza originale a tutti i costi), poichè privo di un focus preciso, visto che la macchina da presa và un pò di qui ed un pò di là, poi decide di seguire il personaggio dell'attore del "metodo" alla Marlon Brando interpretato da un artificioso Edward Norton, che si dice sincero solo sul palcoscenico (ma anche lì la sua recitazione mi è parsa costruita), per poi focalizzarsi sull ex- tossicodipendente Emma Stone (sfatta al punto giusto), per poi eclissarli per concentrarsi sul solo protagonista e le sue paturnie mentali, con tanto di critica alla critica, che però fa cascare le braccia fatta in quel modo, visto che così da bravo paraculo Inarritu cerca di rispedire al mittente le critiche di eventuali detrattori alla sua opera, rivelando così la propria natura di opera ideologicamente inaccettabile, perchè alla fine ad Inarritu manca proprio questo; la capacità di fare auto-critica delle proprie posizioni, tramite un film che critica ma non critica, cercando approvazione alla pari di un Riggan, vero e forse sincero solo quella sequenza in cui con solo una mutanda si aggira tra la folla di Broadway, un barlume di vera vita, una scena autenticamente Pirandelliana, che purtroppo viene cassata in un'inutile appendice finale inutilmente buonista, che rivela la disonestà intellettuale nell'utilizzare il pensiero anarcoide dello scrittore italiano, in chiave conciliatoria per l'approvazione critica, il che fa concludere che è vero che come dice Inarritu il cinema americano mainstream sia in crisi, ma lui lungi dall'essere la soluzione, in realtà è parte del problema.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta