Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Inizia con una citazione di Carver, Birdman, voce interiore della coscienza hollywoodiana di Riggan Thompson, un attore che vuole mettere in scena proprio un’opera dello scrittore statunitense, per liberarsi dall’ossessione di quell’eroe mascherato con le ali che quasi un ventennio prima gli aveva regalato fama e denaro. Birdman parla nella mente di Riggan ricordandogli, in continuazione, la retta via del successo, lasciare perdere le stronzate artistiche e teatrali e puntare tutto sul cinema, quello degli effetti speciali, delle esplosioni, dello spettacolo. Scisso tra le tentazioni di far rivivere il suo passato e l’esigenza esistenziale di affermarsi come vero attore, Riggan gira nevrotico lungo i corridoi labirintici (la cui moquette è identica a quella dell’Overlook Hotel) del teatro di Brodway in cui sta allestendo il suo adattamento di Carver. Seguito dalla macchina da presa di Iñárritu attraverso lunghissimi piani sequenza, Riggan incontra i suoi attori, i tecnici, la figlia e la ex-moglie, il manager/avvocato, in un continuo passaggio tra vita reale e rappresentazione, fino al punto in cui i vari piani di finzione non sono più identificabili ma si sovrappongono creando una nuova e meravigliosa dimensione, quella dell’intero film, una sorta di iper-realismo magico, in cui tutto diventa concreto: fantasie, proiezioni mentali, desideri, mondi interiori ed esteriori che si influenzano e modellano a vicenda. Iñárritu, allontanandosi dalla estenuante drammaticità ad incastro dei suoi lavori precedenti, trova un nuovo modo di vedere i suoi personaggi e i loro rapporti, non più violente cadute nella tragedia, ma pedinamenti emotivi sempre sul punto di esplodere in azioni improvvise: scatti di ira, lacrime, pugni, erezioni incontrollate, litigi, baci lesbici, oggetti scagliati contro una parete, senza però quel peso di dolore che il regista scaricava continuamente sul pubblico, qui la vita è ironica e imprevedibile follia, si esorcizzano i demoni della sofferenza grazie ad un’immaginazione capace di trasformare l’impossibile in possibile.
Riggan, muovendosi in equilibrio sul filo dei suoi fallimenti e delle sue aspettative, cade e si rialza, al ritmo sincopato di una batteria che lo accompagna nei suoi spostamenti, spicca il volo verso un cielo che non possiamo vedere, se non riflesso negli occhi della figlia, l’arte come via di fuga e di salvezza, il palcoscenico come luogo per riscrivere il proprio vissuto, parole recitate e parole scritte:
And did you get what
you wanted from this life, even so?
I did.
And what did you want?
To call myself beloved, to feel myself beloved on the earth.
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