Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
"Birdman" è un film delirante, ma non troppo. Un film anti-hollywoodiano, ma non troppo. Un film eversivo, ma non troppo. Sintetizza perfettamente la collocazione fondamentalmente ambigua del suo autore, il messicano Inarritu, nel panorama cinematografico attuale: troppo "autore" per essere trascinato a valle dal correntone mainstream della Hollywood odierna; troppo ammiccante alle varie convenzioni del caso per potersi stagliare ad un livello superiore. L'avesse diretto Paul Thomas Anderson, i cui stile e contenuti sarebbero stati entrambi perfettamente calzanti per questo film, "Birdman" sarebbe forse stato un capolavoro. Ma siccome coi "se" e coi "ma" non si fa la Storia, eccoci di fronte ad un divertissement serio, ad una critica compiaciuta sulla società dello spettacolo, ad un testo post-modernista dagli aromi classicheggianti, e via con tutti gli ossimori che volete. Film contraddittorio, sorprendente ma fino ad un certo punto, capace di alternare momenti letteralmente travolgenti ad altri molto più spenti e prolissi, umoristico e tragico, "Birdman" pare voler racchiudere in un indistinto, ma fasullo, flusso spazio-temporale, il sovraccarico di informazioni e di stimoli proprio dell'era dei social network: è forse proprio nella scelta radicale del convulso piano-sequenza truccato che informa l'intero film che risiede la rappresentazione del WWW, molto più che negli stucchevoli e retorici spiegoni messi in bocca ai vari personaggi che moraleggiano sul concetto di popolarità nell'era di youtube, twitter, facebook, per non parlare della inutile e logorroica sequela di star nominate quasi per il gusto di farlo. Si nota una mano piuttosto greve, da parte di Inarritu, nel voler creare una dialettica con la contemporaneità, sulla scorta di un film-mondo multiforme che, tra le tante cose, è anche un'invettiva virulenta, scomposta e declamatoria, che prende di mira un po' tutti: dalla presunzione dei critici e dei giornalisti all'inettitudine delle star da blockbuster, dall'ossessione per la popolarità che affligge anche gli attori di teatro fino alla scarsa ricettività del pubblico. Un'altra cosa che non funziona, almeno in parte, è il giochino realtà/finzione, che viene quasi sempre sgamato in anticipo (come quando, ad esempio, Riggan racconta una menzogna riguardo ad un episodio di violenza domestica subito in infanzia): il fatto è che lo spettatore 2.0 del 2015 è troppo smaliziato per cascarci. O dietro la mdp c'è il Polanski di "Venere in pelliccia", oppure i risultati sono quelli che sono. Lo dimostra anche il fatto che questo film è un fiume in piena di citazioni, che però sono talmente calate in un contesto "postumo" e meta-testuale, da sciogliersi come sale nell'acqua calda: senza soluzione di continuità, Inarrittu sciorina suggestioni dal Mankiewicz di "Eva contro Eva" al Fellini di "8 e mezzo", dal Truffaut di "Effetto notte" fino a certo Altman e alla screwball comedy classica e tanto altro ancora. Il piano-sequenza, ritmato da un'assolo di batteria che confonde la dimensione diegetica con quella extra (anche qua, come prima, la trovata è molto meno geniale di quanto si creda), è truccato, non solo per esigenze tecniche, ma anche per significare la falsità di una coscienza che si vorrebbe senza intoppi, ma che invece è teatro di una tormentata catena di pensieri continuamente interrotti e sempre in procinto di sbattere contro un muro. E' un po' una metafora stilistica per l'esistenza di Riggan. Tante cose non funzionano, fin dallo script: il personaggio dell'adolescente Sam e il suo flirt con l'attore-spalla; la ex moglie di Riggan e la sua compagna attuale; un bacio saffico fuori contesto; il finale e altre cose...Di tutti i gag, metà funzionano, altri hanno le polveri bagnate. L'andamento del film è quello di una jam-session di free-jazz, ciclicamente contesa fra derive isteriche/grottesche e pause di riflessione/confessione. Opera irrisolta, divertente e cazzara ma non per questo superficiale, oltre a regalare momenti di puro spasso (su tutti, la corsa di Riggan in mutande in una Times Square una volta di più "centro del mondo" da cui si irradia, viralmente, la rete globale di "click" e "like"), "Birdman" è encomiabile per la generosità con cui mette sul piatto un fuoco di fila di trovate e invenzioni, anche se riuscite solo in parte. Sarebbe un film da tre stellette e mezza, ma ne prende quattro grazie ad un cast oltre ogni elogio possibile (Keaton, Stone, Watts incantano, ma una domanda rimane: come diavolo ha fatto Ed Norton, con quel debordante talento, a non diventare uno dei fuoriclasse assoluti e celebrati degli anni Zero?).
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