Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Come sanno bene gli sceneggiatori di Hollywood, ogni storia che si rispetti racconta il viaggio di un eroe che lascia il suo mondo per andare in un mondo a lui estraneo, dove è un pesce fuor d'acqua e deve affrontare ardue prove che mettono a rischio la sua vita. L'eroe di Birdman, il film di Alejandro Iñárritu che ha ottenuto ben nove nomination agli Oscar 2015, è un attore perseguitato dal suo personaggio cinematografico – Birdman, celebre supereroe dei fumetti – che cerca disperatamente di ridare un senso alla sua carriera artistica in declino e alla sua vita personale allo sbando rischiando tutto, soldi e faccia, per mettere in scena una raffinata opera teatrale a Broadway, tratta dal capolavoro di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo di amore.
Birdman (2014): Michael Keaton
Si poteva ricavarne un dramma psicologico, con o senza lieto fine, ma comunque molto esistenzialista e antispettacolare; oppure una commedia brillante, magari un'arguta satira che contrapponga l'elitismo newyorkese di Broadway al populismo losangelino di Hollywood. Iñàrritu ne tira fuori invece un affascinante ibrido che non solo fonde assieme satira e dramma, ma amalgama in modo spettacolare e profondo, tanti temi dialetticamente contrapposti: teatro e cinema, uomo e personaggio, realtà e finzione, arte e spettacolo.
Il nostro eroe, Riggan Thomson (interpretato da un sorprendente Michael Keaton, che porta in dote anche l'ombra del suo “vero” Batman) vuole dunque passare dal mondo dello show business a quello dell'arte e scopre che tra Hollywood e Broadway c'è una segregazione ancora più rigida di quella tra i viaggiatori di prima e terza classe del Titanic, ma rovesciata: è il ricco e famoso a essere il reietto, perché considerato un attore incapace e ignorante, adoratore dell'audience e del denaro, indegno di far parte del mondo della vera arte. E con una difficoltà aggiuntiva: non può nemmeno camuffarsi cambiando d'abito, e per tutto il film dovrà lottare per togliersi di dosso - non solo metaforicamente - il suo alterego con superpoteri, l'ombra fin troppo concreta e ossessiva di Birdman.
Nel film il cattivo più temibile è l'apocalittico, supremo guardiano del mondo higbrow, che ha la faccia acida e disgustata della temutissima critica teatrale pronta a distruggere la piece dell'ex Birdman prima ancora di averla vista. Tuttavia Riggan deve lottare anche con un cattivo molto più subdolo: l'integrato che ha dentro di sé, il richiamo di Hollywood, il suo lato d'ombra con la voce cavernosa e le sembianze di Birdman, che lo incita a tornare ai suoi superpoteri, al successo e ai milioni di fan che lo amano come un essere superiore. È una lotta durissima, sempre sul filo della sconfitta, tra depressione e rigurgiti narcisistici, per un attore che si sente sulla strada del tramonto e cerca di tornare a volare mentre tutto attorno lo tira giù: l'ambiente ostile, il giovane collega teatrale molto più cool (Edward Norton, perfetto nella parte), la figlia e l'ex moglie che gli rinfacciano il suo fallimento di padre e marito, la critica col dente avvelenato, gli umillianti incidenti durante le anteprime.
Birdman (2014): Michael Keaton
Un pregio notevole del film, che contribuisce molto alla sua originalità, è che la lotta dell'eroe si rispecchia anche nella forma. È infatti costruito mettendo assieme, due registri espressivi opposti e stridenti, che corrispondono ai due mondi in conflitto: il teatro-verità e lo spettacolo-finzione.
Spettacolare e hollywoodiana è l'idea di presentare Riggan come una specie di mutante, mezzo fallito e mezzo supereroe, sfruttando gli effetti speciali per dotarlo di “veri” superpoteri. Questi inserti da superhero fiction spiccano come momenti surreali nel contesto rigorosamente realistico, ma sono interpretabili anche come proiezioni allucinatorie della mente di Riggan (tranne in un momento cruciale nel finale).
Teatrale e realistica è, per contro, la scelta di girare tutto come un piano sequenza continuo (notevole la fotografia di Emmanuel Lubezki, già premio oscar con Gravity). L'atmosfera febbrile del backstage teatrale è resa con grande efficacia dai lunghi ciak che costringono gli attori a recitare con l'ansia dell'errore, dagli sguscianti movimenti di macchina sincronizzati con azioni e dialoghi, che attraversano i claustrobici meandri del teatro, sempre inquadrati col grandangolo e accompagnati soltanto dal ritmo sincopato di una batteria. Infine, ciliegina sulla torta, per realizzare una scena clue, Keaton ha dovuto attraversare una vera folla in mutande!
Birdman (2014): Michael Keaton
Questo doppio registro non è solo una brillante soluzione estetica: è anche un indizio per far emergere il senso di un film così complesso e ambiguo. Riggan condivide evidentemente l'ideologia del cattivo apocalittico: non sopporta più le finte, puerili calzamaglie lowbrow ed è convinto che il bello-e-buono stia nel mondo highbrow in cui cerca di farsi accettare. Ne è talmente convinto da rischiare il tutto per tutto. Non sa però che l'esito della sua impresa dipenderà, paradossalmente, dagli stessi meccanismi dello spettacolo da cui pensa di sfuggire. E sarà proprio la discesa nel gorgo della sua umiliazione, della sua inettitudine e della sua disperazione che, senza accorgersene, rimetterà in moto quei meccanismi: gli imbarazzanti incidenti delle anteprime, che lo fanno sentire inadeguato e ridicolo, dilagano su youtube; e lo scontro con la cattiva apocalittica, che gli toglie ogni speranza spingendolo a farla finita, lo proietta al vertice di quell'arte che sembrava definitivamente al di sopra delle sue capacità.
L'immedesimazione totale col personaggio di Carver alla disperata ricerca di amore, gli consentirà di conquistare l'amore impossibile degli apocalittici e contemporaneamente un nuovo successo in quello degli integrati.
A conquistare i primi è l'effetto di realtà (contrapposto ai finti effetti speciali del cinema). La loro ideologia sembra infatti basarsi sull'equivalenza: arte = verità; spettacolo = finzione. È una concezione romantica dell'arte, che costituisce lo sfondo implicito dell'elitismo sprezzante dei nemici di Birdman: il vero artista/attore mette in scena la vita (“Io fingo ovunque, tranne che in palcoscenico”, si vanta l'antagonista teatrale di Riggan interpretato da Norton). È quest'idea che spinge la critica a rinunciare alla sua ostilità preconcetta di fronte al sangue vero sprizzato sul pubblico, “quel sangue che mancava disperatamente dalle vene del teatro americano”. Grazie alla “inattesa virtù dell'ignoranza” (come recita il titolo della tanto temuta recensione, nonché sottotitolo del film), l'eroe riesce a superare la prova: farsi amare da Broadway e liberarsi del suo Birdman.
Tuttavia anche il mondo dell'arte è immerso nella Grande Ragnatela che avvolge il mondo degli integrati e per raggiungere il successo bisogna diventare “super”. Il gesto clamoroso è una bomba comunicativa virale, uno spettacolo che si riproduce da solo e che riporta Riggan a brillare su migliaia di schermi contemporaneamente, proprio come voleva il suo alter ego in calzamaglia. “350 mila visualizzazioni in meno di un'ora. Che lo credi o no, questo è potere”, dice a un certo punto la figlia a Riggan, mostrandogli il cellulare. Il viaggio dell'eroe culmina passando attraverso la morte e la rinascita: Riggan può tornare a volare, senza la calzamaglia, nel cielo delle star.
Nel manuale del bravo sceneggiatore hollywoodiano, superata la prova, l'eroe riporta un “elisir” al suo mondo o agli spettatori. L'elisir di Riggan è la scoperta che anche l'ignoranza dell'integrato ha le sue virtù. Ma forse l'elisir più importante è quello che Iñárritu porta al mondo di Hollywood: la prova che anche nel mondo degli apocalittici il successo artistico risponde alla logica dello spettacolo e degli “effetti speciali”, e che anche gli integrati possono fare arte. Non merita un Oscar?
(Una versione più estesa di questa recensione è apparsa su doppiozero.com)
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