Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Riggan Thompson, famoso per aver recitato in una saga blockbuster incentrata sul fantomatico supereroe Birdman, è ossessionato dal riconoscimento delle proprie capacità artistiche. Non importa il successo ottenuto in passato con i primi tre capitoli dell’Uomo uccello, non importano i miliardi incassati: il suo scopo è quello di vedersi riconosciute quelle qualità che occorrono per essere definiti attori con la “a” maiuscola. Per riuscirci, decide di portare in scena una rappresentazione teatrale di Raymond Carver (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore) insieme a un amico regista sui palcoscenici di Broadway.
Con una vita privata allo sbando (è separato dalla moglie, ha una figlia appena uscita dal rehab e si intrattiene dietro le quinte con una collega attrice), Riggan è tormentato dal proprio passato, che prende vita attraverso una voce fuori campo. Alter ego invadente, l’Uomo uccello non ha pietà per il suo interlocutore: schietto, diretto, crudele e perspicace, l’Uomo uccello desidera rivedere il suo “interprete” alle prese con un quarto capitolo delle avventure dell’uomo mascherato piuttosto che su un palco teatrale. I suoi discorsi, sul filo del cinismo misto a rabbia repressa, regalano a Riggan una forza disumana e/o paranormale che esiste solo nella sua mente, privandolo di uno sguardo lucido sulla realtà.
A complicare l’esistenza artistica di Riggan interviene un incidente che lo stesso causa sul palcoscenico e che mette fuori dai giochi uno dei protagonisti. A sostituire il malcapitato arriverà Mike, un attore teatrale dalle indubbie capacità ma dal temperamento fuori dalle righe. Il confronto tra i due e tra i due differenti modi di intendere la recitazione porterà inevitabilmente verso un epilogo che donerà al protagonista la sua giusta dimensione, tra reale e fantastico.
Opera che vive di un forte accanimento nei confronti del mondo di Broadway e della netta suddivisione tra attori commerciali e attori ‘culturali’, tra i milioni del cinema e sua altezza la recitazione teatrale, Birdman mette in chiaro sin dalle prime scene i suoi presupposti: si è di fronte a un manipolo di personaggi in cerca d’autore, che si muovono solo nello spazio angusto di un teatro da 800 posti. La New York che fa da sfondo alla vicenda è puramente di contorno e il teatro diventa la gabbia che imprigiona o che libera. Tutto ciò che ruota intorno al mondo del teatro viene mostrato con lucida analisi: prove, anteprime, messa in scena e, persino, il rapporto con l’universo della critica, pronto a una stroncatura senza precedenti senza aver nemmeno visto l’opera di cui Riggan è protagonista. D’altronde, basta solo la presenza di Riggan per far considerare quella pièce un fiasco: un attore che ha recitato con una tuta di piume, secondo la più importante critica del New York Times, non è degno di stare sul palco di un teatro e usurpare il posto di chi è più bravo di lui.
Muovendosi in continuazione tra mondo reale e mondo onirico, Birdman non risparmia attacchi contro il sistema cinema: vengono presi di mira, ovviamente, i blockbuster ma anche gli attori che cedono al richiamo dei dollari. Robert Downey jr., Woody Harrelson, Michael Fassbender e Jeremy Renner non saranno contenti, come è lecito che non siano contenti i grandi studios americani, descritti superficialmente come attenti a produrre pellicole per adolescenti in cerca di adrenalina e per il popolo dei social network. Nel farsi beffe del sistema, Iñarritu si diverte anche a inserire una sequenza degna del miglior Michael Bay, per il piacere degli occhi di chi guarda.
Lungometraggio più di riflessione che di azione, più dramma che commedia, Birdman punta tutto su Michael Keaton, affidando alle sue spalle un’autoanalisi che, purtroppo, si perde nella banalità dei luoghi comuni, del già detto, del qui e dell’ora. I personaggi secondari, seppur sostenuti da un manipolo di attori interessanti si perdono subito: pur aprendo seconde, terze e anche quarte linee narrative, nessuno di loro viene approfondito e fa un po’ tristezza vedere Naomi Watts, Edward Norton o Amy Ryan, ridotte a mere figure di contorno. Ambizioso nelle intenzioni ma poco soddisfacente nei risultati, Birdman soffre di un finale lungo e per certi versi “telefonato”, che si ripiega più volte su se stesso e che non appaga chi per quasi due ore ha cercato il bandolo della matassa. Ci si aspettava un livello decisamente superiore.
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