Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film
Immaginatevi un lungo corridoio, un po' come quelli che comparivano e compaiono nei cartoni animati, da Scooby-Doo a simili. E' tipico e ricorrente che quei corridoi ospitino porte sulle proprie pareti, e che da queste porte escano fuori i personaggi, un po' a caso, un po' in fuga, un po' all'inseguimento, improvvisamente, senza alcun tipo di evidente copione. In composizioni sovente inverosimili, estreme, ridicole. Ed ecco poi Birdman di Inarritu, un lunghissimo corridoio di esercizio di stile mischiato a ironia e critica allo star system e al mondo come oggi noi lo conosciamo. Una musica picchiettante segna il ritmo di una lunga sinfonia, melodiosa quanto squilibrata, di un gruppo di attori pronti a recitare una commedia e in preda alle proprie fisime e alle più personali ossessioni. Uno fra tutti, il protagonista Riggan Thomson, ex-Birdman, interpretato da Michael Keaton, alla ricerca di un nuovo ruolo nel mondo, alla ricerca di una nuova faccia che azzeri la sua precedente maschera, quella di Birdman, eroe da blockbuster che ha avuto successo in tutto il mondo. La scomparsa di questa maschera non coincide però con la sua eliminazione definitiva: Birdman rimane attaccato alla mente di Riggan, e finisce per costituire un suo doppio mentale che, di volta in volta, lo spinge a commettere le azioni al contrario di come Riggan, dal canto suo, le farebbe. Questo diavoletto da spalla gli sussurra all'orecchio, lo richiama, lo prende a parolacce, finisce addirittura per umiliarlo, incoraggiandolo però sempre a fare qualcosa di nuovo, a mostrare a tutti di che pasta è in realtà fatto. Infatti Riggan, nel suo sdoppiamento, è convinto di avere un potere telecinetico, che gli permette di muovere e spostare le cose di qua e di là, nonché di sollevare sé stesso, come avviene nella prima scena.
Il mondo della mente di Riggan è specchio del mondo di oggi. Il mondo di oggi è un universo di luoghi comuni e circostanze stranote che impazzano negli schermi e nelle cuffie e si fanno chiamare arte. L'arte è quella cui Riggan aspira, se non fosse che anche lui non può non ammettere di avere un che di egoistico nel suo tentativo di scrollarsi di dosso il suo vecchio Birdman e iniziare nuovamente a vivere. Il labirintico retroscena del teatro di Broadway diventa luogo mentale nella testa di Riggan, un flusso di coscienza massimalista e quasi frastornante che cozza inesorabilmente con il minimalismo professato da Carver nello scritto che Riggan adatta per il palco, What We Talk About When We Talk About Love. E il massimalismo del mondo in cui Inarritu ci catapulta è quella giostra infernale di personaggi che sono gli attori, l'ex moglie e la figlia di Riggan, lo stesso fantasma di Birdman, e tutti coloro che vivono nel mondo e attendono di rivedere il mitico uomo uccello all'azione in un teatro di prosa. Quindi abbiamo Edward Norton, attore primadonna ossessionato dall'idea che sul palco debba trionfare la vera verità, e che si possa recitare invece nella vita (supposta) vera; Naomi Watts, ossessionata dal successo; Andrea Riseborough, convinta di essere incinta di Riggan e desiderosa di maggior amore; Lindsay Duncan, critica teatrale interessata alla semplice idea di stroncare lo spettacolo di Riggan senza neanche averlo visto; Emma Stone, appena uscita dal rehab e un po' stanca e annoiata. Questa la girandola di caratteri di Birdman, mai reali macchiette abbandonate a loro stesse, ma incarnazioni concrete e profonde (e per questo ancora più paurose) di tantissimi luoghi comuni, nella mente di Riggan scontati tasselli di un puzzle faticosamente rimontabile. E mentre Inarritu ci fa perdere nella vita di Riggan, ci rendiamo conto di come il ruolo dell'attore e della sua identità finisca per diventare espressione massima di quello che può voler dire "vivere l'arte", "osarla", "metterla in scena" e "incarnarla": la svendita amorale ma celebrata di un'identità per quello che il pubblico vuole, scandalo, sorprese, ferite autoinflitte e magari anche la morte.
Birdman è infatti un mazzo di identità, personaggi in cerca di spettatori ancor di più che di autore, pronte a svendere l'anima per la propria maschera, per il proprio ruolo. E se Riggan si distingue dagli altri, è perché non vuole svendersi, vuole entrare nel mondo per come è lui, e soprattutto avverte quella incolmabile distanza che intercorre fra ciò che le persone attorno a lui sono e quello che credono di essere: gli interessi di personaggi come Norton o la Watts non sono interessi personali, ma esplicite aspirazioni del pubblico (un'erezione sul palco, un'attrice di successo). Perché siamo tutti dentro un calderone di fama bollente e di followers di Twitter, un mondo impazzito in cui l'attore ha in mano un potere che non sa di avere e si svende, sia professionalmente che umanamente, al bene di una società creata con lo stampino. Quindi Riggan vola, volerà, non cadrà più, potrà rivelare di essere diverso, di aver realizzato il più importante (tentativo di) sacrificio riuscendo allo stesso tempo ad avere la stima del mondo. Un compromesso letale che forse Inarritu affretta troppo, nei finali che si accavallano, ma che infine rivela la più profonda riconciliazione fra identità e vita nel mondo, alla luce dell'affetto padre-figlia (è la figlia il volto del finale). Chiaramente, niente che possa verificarsi davvero. Niente di vero come non è vero quell'interminabile pianosequenza.
Dunque, un miracolo.
Birdman è il film di apertura del 71° Festival del Cinema di Venezia.
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