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La gabbia dorata

Regia di Diego Quemada-Diez vedi scheda film

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La recensione su La gabbia dorata

di FilmTv Rivista
8 stelle

C’è una partenza, c’è un arrivo. C’è un prima e c’è un dopo. E niente e nessuno sarà più lo stesso. I protagonisti del film proprio come lo spettatore. Questo sorprendente esordio di Diego Quemada-Díez è un lucido e spietato teorema sul valore del viaggio come rito di passaggio per un gruppetto di ragazzini che, da una delle aree più povere e malfamate, la zona 3 di Città del Guatemala, tenta di andare verso l’America passando per il Messico dove raccoglierà Chauk, un indio del Chiapas. Tre ragazzi a cui la realtà ha già fatto conoscere e superare la propria linea d’ombra: sanno perfettamente chi sono e dove vogliono arrivare. La strada, per loro migranti contemporanei d’ogni luogo, è naturalmente piena d’insidie. Cosa che rende il loro viaggio universale e senza tempo. Perché così è stato, è e sarà, nei secoli dei secoli. Un cammino, attraverso le cosiddette - un tempo - vie di comunicazione ora plastica metafora del loro esatto contrario (ponti, strade, gallerie, fiumi, binari dei treni), lastricato di ambigui e spiazzanti comportamenti degli uomini sempre diffidenti verso l’altro. Che siano, da una parte, gli yankee con la loro grande muraglia innalzata al confine messicano ma bucata, letteralmente, come una groviera (con tanto di topi umani ad attraversarla) o che siano, dall’altra, gli stessi ragazzini nei confronti dell’indio diverso. Certo, poi nel viaggio pieno di dolore e ingiustizia ci sarà posto per aspetti virtuosi come l’amicizia e la solidarietà, anche se Diego Quemada-Díez è troppo consapevole della storia che sta raccontando e così, appena tutto sembra andare per il verso giusto, come nella vita, arriva la mazzata a stordire i protagonisti e noi che avevamo imparato ad amarli. La gabbia dorata non è un film a tesi, anche se la posizione del regista è chiara sia nella denuncia dello sfruttamento dei popoli “chiamati” negli Stati Uniti e poi lasciati senza documenti e quindi illegali «nella gabbia d’oro che non smette mai di essere una prigione», come cantano Los tigres del Norte in una loro famosa canzone non presente nel film ma dallo stesso titolo, sia nel criticare una certa mancanza di fiducia nella propria cultura degli stessi migranti. Sempre snaturati, in patria ma anche all’estero.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 45 del 2013

Autore: Pedro Armocida

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