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Norte, The End of History

Regia di Lav Diaz vedi scheda film

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La recensione su Norte, The End of History

di alan smithee
10 stelle

 

locandina

Norte, The End of History (2013): locandina

FESTIVAL DI CANNES 2013 - UN CERTAIN REGARD 

Che stile di regia e di racconto Lav Diaz! In poco più di quattro ore che il cineasta ha il dono di riuscire a far scorrere veloci, il gran regista filippino ci racconta due storie che convergono verso lo stesso misfatto, in un caso solo balzato alla mente per istinto, nel secondo probabilmente premeditato ed infine attuato con deliberata intenzione e crudelta. Due uomini coinvolti, o meglio raggirati dalla stessa persona, e tuttavia sperequatamente trattati da un destino che ne fa restare libero ed impunito il vero ed unico colpevole, mentre conduce ad imprigionato e sottoposto ad un inferno di torture, sofferenze e privazioni, l'innocente,

Fabien è un Intellettuale che vive a Manila e frequenta circoli e persone istruite, uomini di legge e giornalisti.

Joaquim, al contrario, è un onesto padre di famiglia, contadino povero con moglie e due figli piccoli a carico.

Entrambi bisognosi di soldi, i due uomini si rivolgono all'usuraia Magda, opulenta donna di una villaggio che li accontenta senza opporre nessuna obiezione, ma che presto reclama con risoluzione ed intransigenza quanto loro prestato, maggiorato per l'occorrenza dei lauti interessi illegali ed oltre ogni limite umanamente sostenibile.

Entrambi gli uomini reagiscono male all'intolleranza della donna nei loro riguardi, ma mentre Joaquim ha la saggezza di fermarsi in tempo dopo aver aggredito la donna, Fabien, in un istinto omicida e mosso dalla furia e dalla disperazione, accoltella a morte la donna, e pure la figlia adolescente di quest'ultima, rea di essere testimone oculare del tragico omicidio.

Peccato che la gente tutto attorno abbia notato il primo avventarsi sulla donna, mentre il secondo, ovvero l'assassino, sia riuscito a far passare nel silenzio il suo gesto efferato, dileguandosi all'insaputa di ognuno.

scena

Norte, The End of History (2013): scena

scena

Norte, The End of History (2013): scena

Pertanto al padre di famiglia spetterà la galera dura, con tutte le conseguenze dovute al riuscire a farsi accettare in un ambiente dove brutalità e favoritismi aiutano molto a garantire la sopravvivenza; e che getterà quasi alla fame la sua famiglia, costringendo la moglie e star lontano dalla prole tutto il giorno, impegnata a vendere ortaggi col suo carretto di legno tra le vie della città. Al contrario invece l'intellettuale, che, rimasto impunito e libero, continuerà a frequentare i suoi circoli e la società che conta, salvo venir preso da momenti di angoscia ed imbarazzo nel ripensare al suo gesto e all'uomo che sta pagando per quella sua turpe azione. Alternando momenti di lucido pentimento a tentativi maldestri di ripagare il suo debito con azioni e gesti spesso inconsulti o contro producenti.

Il film alterna le storie dei due uomini, per poi concentrarsi sulla famiglia dell'uomo incarcerato: la disperazione di una donna coraggiosa che cerca di resistere attorniata dai suoi bambini, spesso derisi per essere figli di un padre delinquente che tuttavia delinquente non è. E la fede in un futuro migliore che talvolta cede il posto alla diperazione, come quando la donna con i figli si reca sulla roccia più alta delle cime montane attorno al villaggio pensando di farla finita per lei ed i suoi infelici figli senza padre.

Quattro ore di epoea raccontate con uno stile meraviglioso: l'azione, qui molto più frequente che negli altri film di Diaz fino ad ora visti, viene ripresa quasi sempre con la camera fissa, lasciando, quasi per pudore, ma anche moltiplicando la presa emotiva, al non visto ciò che si cela al di fuori del campo visivo coperto da essa. 

scena

Norte, The End of History (2013): scena

scena

Norte, The End of History (2013): scena

Quando invece è il pensiero a librarsi libero e veloce, lecco che la camera prende a muoversi veloce e snella, superando ostacoli a volo d'uccello, procedendo spedita lungo spiagge incontaminate e valli rimaste indenni alla civilizzazione seguendo percorsi di grande suggestione visiva ed emozionale. Qua è là sprazzi di poetica genialità e visioni devastanti ed apocalittiche come quella di corpi senza vita sparpagliati lungo il corso di un torrente, vicino ad un focolaio che racchiude la carcassa di un piccolo aeroplano appena caduto. Al suolo, tra i cadaveri, il corpo dell'unico sopravvissuto: un neonato che piange tra la devastazione: disperato, solo ma miracolosamente illeso, quando anche dal cielo inizia a cadere una pioggia fragorosa che trasforma in fumo nero le fiamme incontenibili che poco prima avvolgevano ciò che resta del veivolo.

Utilizzando per la prima volta il colore (a quanto io sappia e tenendo conto della mia personale ed ancor non completa esperienza nei confronti del regista filippino), Diaz ci incanta con l'umanità dolente ma appassionata da una parte, e controversa e peccaminosa dall'altra: due aspetti antitetici ma possibili che biforcano una storia, divisa a metà tra la bontà che non cede alla tentazione di arrendersi grazie ad una forza interiore di autogoverno e a grandi doti di rassegnazione, e la cattiveria e la codardia che non consentono di ammettere le proprie responsabilità evitando che innocenti paghino le colpe di chi le ha commesse.

Diaz ci racconta le due facce antitetiche dell'esistenza umana, nel continuo ed incessante alternarsi di bontà e cattiveria che caratterizzano la vita dell'essere umano dal suo primo giorno sulla Terra: la sopraffazione del più scaltro ai danni del più onesto, ma anche il riscatto morale del perdente, che arriva a riavvicinarsi a ciò che ha perso per troppo tempo senza necessariamente dover consumare una vendetta o facendosi giustizia e rispondendo alla violenza con altrettanta violenza. 

 

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