Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Come tutti i grandi film, anche L'intrepido di Gianni Amelio racconta tantissimo anche e soprattutto in ciò che non dice, nei sottintesi e nelle parti debitamente taciute, negli omissis pietosi di una contemporanea realtà infame e crudele, quella dell'Italia del 2013. La sceneggiatura del regista e di Davide Lantieri affonda con perizia e con mano (e occhio) chirurgici nel malessere socioeconomico del tempo, mettendo un grandioso Antonio Albanese al servizio di una storia di ordinaria umiliazione e di degrado morale - la scena dell'incontro con la ex moglie è la quadratura del cerchio - che vengono però mitigati in parte dall'agrodolce, immancabile sorriso del protagonista, un uomo realmente intrepido, eroe dei suoi tempi. Plusvalore della costruzione narrativa è quell'incontro/scontro generazionale fra padre cinquantenne e figlio ventenne, esemplari entrambi nel raccontare un'Italia di padri che si arrabattano coraggiosamente fra mille insidie e difficoltà, memori di un passato quantomeno dignitoso, e figli totalmente allo sbando, minati dentro da un'eredità di paure e malesseri, affacciati su un futuro che è un baratro oscuro privo di speranza. Due gli omaggi sostanziali del film, entrambi al meraviglioso tandem artistico De Sica/Zavattini: a Ladri di biciclette (in una breve sequenza Albanese fa l'attacchino in bicicletta, che viene pure rubata) e a Miracolo a Milano, città nella quale la storia si svolge. Indiscutibile il premio Pasinetti ad Albanese, a Venezia, dove L'intrepido si è aggiudicato anche i premi Lanterna magica e Fondazione Mimmo Rotella; altrettanto meritati i contributi del Ministero Beni Culturali. 7/10.
Antonio ha quasi cinquant'anni, è divorziato e ha un figlio di venti. L'uomo fa di mestiere il 'rimpiazzo': sostituisce giorno per giorno chiunque abbia bisogno di assentarsi dal proprio posto di lavoro, sarto, portapizze, operaio, badante che sia.
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