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L'intrepido

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su L'intrepido

di OGM
8 stelle

Dall’altra parte. Per una volta non siamo noi, i clienti del ristorante infastiditi dal venditore di rose. Questa volta siamo lui, che gira fra i tavoli offrendo i suoi fiori, nella speranza di fare breccia in qualche cuore innamorato o caritatevole, e di racimolare qualche spicciolo. Antonio Pane è quello che tutti noi possiamo diventare, da un momento all’altro, per volontà di una vita che può improvvisamente sfuggirci di mano. Nei periodi di crisi, ne approfitta per dimostrarci che è lei, la più forte, lei che ci ha sempre dato tutto, e che tutto ci può togliere: la moglie, il figlio, il lavoro, la nostra stessa dignità. Antonio è colui che più perde, più cerca di riconquistare. Raccoglie i brandelli di occasione provenienti dalle distrazioni altrui, dalle momentanee assenze che chiedono di essere compensate dalla sua fugace apparizione. La sua attività di rimpiazzo è una continua rincorsa dei vuoti lasciati da chi ha più del necessario, e può dunque permettersi di venir meno al dovere, per partecipare ad una festa,  o semplicemente concedersi una pausa. Antonio si guadagna il pane mordendo i lembi dell’altrui superfluo, i drappeggi dell’altrui tranquillità economica, che induce, chi ne gode, ad adagiarsi e largheggiare.  Lui, invece, prosegue, con instancabile rigore, nella sua attività di  cacciatore di piccoli tesori, costruendo, ora dopo ora, la sua ricchezza fatta di mille briciole. La sua coraggiosa tenacia vale infinitamente di più della determinazione che serve per raggiungere il successo o fare carriera. La sua costante sfida contro l’incertezza è una trionfale cavalcata attraverso la tempesta, che non conduce, purtroppo oltre la soglia della sopravvivenza. Gianni Amelio racconta una storia movimentata e varia, dal ritmo concitato e potentemente drammatica, però priva di evoluzione. Il suo effetto, che si rinnova uguale ogni giorno, è solo quello di azzerare la fame e di sventare gli attacchi della paura. Bisogna essere grandi narratori per riuscire a riempire tante pagine di un nulla affrontato dal basso, dall’umile figura di un ex calzolaio abbandonato da tutti, ma profondamente sensibile e molto indaffarato. Nelle mani dell’autore, questo piccolo protagonista di una guerra invisibile diventa un gigante di indefessa umanità, sempre pronto ad opporre il suo Essere, laborioso ed incorruttibile, alle avversità che vorrebbero frenare lui ed i suoi compagni di sventura. Il suo affanno è tanto triste quanto vincente, prudente e modesto nell’incedere, ma robusto nell’anima ed integro nella coscienza. La sua morale è semplice, però adattabile ad ogni situazione, piena di sfaccettature romantiche e poetiche, tali da creare una letteratura di frammenti incompiuti e sussurrati, aneddoti  a base di fallimento e dolore che trasformano la sofferenza in una melodia piacevolmente stonata. L’intrepido ci avvolge con il lato grigio e freddo della realtà, che riguarda, apparentemente, un solo individuo molto sfortunato, ma che noi avvertiamo come vero, universale, inesorabile. Quel velo gelido si attacca alla nostra pelle e ci porta dentro il pianto. Il pianto antico della povertà. Che, in questo caso, è un gemito jazz lanciato attraverso la penombra. 

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