Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
La paura della vita può avere l'aspetto di un musicista annichilito dal panico che gli impedisce di affrontare il pubblico, salvo poi alzarsi, prendere lo strumento e dimostrare tutta la propria bravura. Un coraggio trovato grazie anche, e soprattutto, a un uomo che di coraggio e forza ne ha da vendere.
Gianni Amelio affronta non un tema, ma una serie di temi che si sovrappongono, argomenti da far tremare i polsi, perché qui la finzione scenica non esiste, qui si parla di un qualcosa che riguarda purtroppo la vita di molti, ormai forse della maggioranza.
La precarietà che per assurdo diventa un principio stabile per coloro che lavorano, l'instabilità economica e di conseguenza sociale che diventa instabilità personale, privata. La mancanza di quel bagaglio di sicurezze che erano fondamenti certi per le generazioni passate comporta come effetto collaterale la privazione di punti di riferimento, di coordinate certe entro cui ragionare di un futuro. Ma quando il futuro non lo vedi oltre la fine del mese o addirittura della giornata, tutto crolla e il senso di precarietà diventa totale. Antonio Pane è un uomo senza prospettive, annientate dalla crisi che si è portata via la sua professione. Ma Antonio non si arrende e accetta ogni lavoro gli venga proposto, anzi di questa sua necessità fa una professione, il rimpiazzo.
Ogni giorno Antonio si alza e affronta la vita, armato solo della sua pazienza e della sua faccia. Un volto straordinario, il volto di un uomo che non arretra di fronte alle amarezze di una esistenza disperata, cercando il conforto e il buono in ciò che lo circonda, può essere la famiglia di immigrati suoi vicini di casa con cui stringe un rapporto di amicizia, o il figlio, studente al conservatorio, bravo musicista ma fragile e viziato da una madre che ha la fortuna di avere un compagno danaroso (anche se la fortuna è davvero relativa, visto che il personaggio ha la moralità e l'etica di un topo di fogna, un piccolo uomo di fronte ad Antonio, che a volte davvero da una fogna sembra uscito, ma che ha la dignità immacolata di chi è onesto nel suo profondo).
Poi un giorno ecco qualcosa di pulito apparire all'orizzonte, una fanciulla dall'aspetto sconfitto e dimesso, avvolta in una cappa di disperazione. Lucia sembra essere per Antonio quella sorsata di vita pura che potrebbe riaprire le porte di un cuore chiuso da troppe delusioni e da troppi fallimenti, ma tutto sarà purtroppo solo un'illusione.
Lucia, al contrario di Antonio, non sopporta il bagaglio di sofferenze che la vita le porta e finisce per arrendersi.
Ma non si arrenderà il protagonista che troverà ancora la forza e non solo per se stesso.
Siamo di fronte a un film importante, che parla di cose tremende eppure così comuni in un paese che sta andando alla deriva, e lo fa con una spietatezza chirurgica.
Meriterebbe il massimo dei voti solo per questo, per la volontà di sbattere in faccia al pubblico la realtà, una realtà fatta di uomini come Antonio Pane ma anche di Lucie che non riescono a reggere il peso delle continue sconfitte.
E fatta anche di squallidissimi personaggi (i furbi, i parassiti di questa società a discapito delle persone perbene) nelle sembianze del becero padrone della palestra che dietro percentuale raccatta lavori per i disperati (tra cui il protagonista) o anche in quelle dell'imprenditore rampante e disonesto che è poi il compagno della ex moglie di Antonio.
Ma una disamina onesta non può non rilevare, dal punto di vista della costruzione narrativa, i palesi limiti di questa pellicola, che si regge troppo sulla straordinaria faccia di Antonio Albanese (di una bravura che lascia senza parole), lasciando troppo in ombra il resto degli interpreti.
E così sia il personaggio di Lucia (Livia Rossi) che quello di Ivo, il figlio musicista di Antonio (Gabriele Rendina) vengono delineati ma non approfonditi, figure di contorno che invece avrebbero meritato un miglior lavoro nello sviluppo psicologico.
In certi passaggi la narrazione zoppica e l'impressione è che Amelio, avendo a disposizione un Albanese in forma smagliante abbia talvolta abdicato alle sue prerogative, non fornendo una sceneggiatura inappuntabile. Da rilevare infine un bell'omaggio al Charlie Chaplin di Tempi Moderni, un rimando ai tempi in cui un'altra brutta crisi stava mettendo in ginocchio i lavoratori.
Sperando che gli ingranaggi contro cui Charlot lottava allora vengano spezzati anche oggi e si torni a pensare alla centralità dell'uomo e soprattutto al fatto che non è una macchina.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta