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L'intrepido

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su L'intrepido

di michemar
7 stelle

Questo film senza Albanese non si poteva fare, è evidente. Sia perché Amelio ha scritto il soggetto cucito addosso al bravo comico, sia perché i due inevitabilmente si sarebbero prima o poi incontrati. Albanese è bravissimo, questa è la sua maschera preferita, buono e semplice, onesto e coerente.

Il titolo è perfetto ed è adatto al carattere del protagonista, come perfetto e emblematico è il nome del protagonista: Pane; le ambizioni del film invece un po' meno. Sicuramente Amelio l'ambizione di arrivare in alto ce le aveva ma non è riuscito molto nell’impresa, perché il film non prende mai il volo, resta piatto e monocorde con un finale che lui ha definito sorprendente, ma che io reputo proprio inutile e posticcio. Capisco che il regista voleva dare un tocco finale di ottimismo, speranza e svolta verso il futuro, ma l’operazione di quegli ultimi minuti non la trovo riuscita. Dopo il poetico e nostalgico “Il primo uomo”, produzione italo-francese, le attese erano forti ma stavolta non siamo tornati sul livello precedente. La presenza dello straordinario Antonio Albanese, in scena il 99% della durata del film, faceva prefigurare una tragicommedia e così è stata, e non una commedia come è stata voluta presentare. Non si ride, si sorride e amaro pure, direi che lo spettatore ha continuamente un ghigno sulle labbra: questa crisi economica che ha sconvolto la vita degli abitanti del pianeta non può ovviamente far ridere e neanche sorridere, non è possibile. E’ lancinante il dolore che si prova vedendo i giovani rappresentati da Gabriele Rendina, Livia Rossi e altri disperati alla ricerca del benedetto “lavoro”, che vuol dire semplicemente futuro, casa, famiglia; si prova amarezza vedere i giovani mettercela tutta e poi perdere fiducia. Solo lui, l’intrepido, non molla mai e non disarma: in tuta da operaio e casco seduto in bilico sull’impalcatura di un cantiere, travestito da animale per far divertire i bambini in un centro commerciale, pelar carote nella cucina di un ristorante, attaccar manifesti di notte. Lui fa tutto e non solo, consola e incoraggia un figlio alquanto deluso e sfiduciato, cerca di aiutare in tutti i modi una ragazza che ormai non crede più in niente. Però è proprio con questi due ultimi personaggi che Antonio Pane vacilla: se normalmente è forte e allegro quando sostituisce e fa il lavoro degli altri, a suo figlio non riesce a trasmettere affetto come vorrebbe e alla ragazza che conosce e con cui simpatizza non sa trovare le parole adatte per trattenerla. Ma l’importante per lui rimane comunque fare qualcosa tutti i giorni, purché tutti i giorni un uomo si alzi presto e si faccia la barba, perché questo vuol dire che c’è sempre da lavorare, e “solo chi c’ha un lavoro può scioperare”.

 

Antonio Albanese

L'intrepido (2013): Antonio Albanese

 

Antonio Pane è un disoccupato, specializzato in “rimpiazzi”, sostituisce quei lavoratori che si devono assentare per un’ora, una giornata... e il suo guadagno lo deve dividere pure con un malavitoso che gli procura queste chiamate. Ma lui sorride sempre, gli basta poco, è meno di un precario: è il precario dei precari. L’importante è che sappia fare di tutto anche perché se un giorno o l’altro viene finalmente chiamato per un vero lavoro lui è pronto e allenato. Certo che guardandolo viene in mente Candide, ma anche Buster Keaton dal momento che in diverse scene si esprime parecchio e bene solo con gli sguardi e i gesti. Tutto congeniale per un attore come Albanese: il suo personaggio si chiama, guarda caso, Antonio come lui e Pane come il primo fabbisogno di un qualsiasi essere umano. Umano, e cosa c’è di più disumano in questo tipo di vita dove lui lavora dalla mattina alla notte e non c’è nessuno che lo rincuora? L’incontro quasi sentimentale avviene, ma la ragazza è in un tale stato di scoraggiamento e senso di fallimento che neanche lui riesce ad aiutarla come si deve. Eppure l’empatia creatasi tra i due era promettente... Una vera storia non c’è, non c’è una trama da raccontare, piuttosto una sequenza di scene ambientate nei vari ambienti di lavoro che Antonio frequenta, in una Milano grigia, autunnale, innevata, raramente illuminata, solo per raccontare la semplicità e la dignità di un uomo onesto. Il film poteva finire dieci minuti prima, facendo a meno della scena in cui si vede che lui suona il sassofono del figlio musicista. Poteva fare a meno, ma ad Amelio la scena serviva per dare un lampo di ottimismo e di messaggio positivo al futuro almeno per il figlio Ivo. Purtroppo credo invece sia una delle concause che hanno determinato i giudizi contrastanti e polemici alla proiezione di Venezia, e certamente non l’unica.

 

Antonio Albanese, Gabriele Rendina

L'intrepido (2013): Antonio Albanese, Gabriele Rendina

Livia Rossi, Antonio Albanese

L'intrepido (2013): Livia Rossi, Antonio Albanese

 

Questo film senza Albanese non si poteva fare, è evidente. Sia perché Amelio ha scritto il soggetto cucito addosso al bravo comico, sia perché i due inevitabilmente si sarebbero prima o poi incontrati. Albanese è bravissimo, questa è la sua maschera preferita, buono e semplice, onesto e coerente. Sono curioso della futura carriera di Livia Rossi: gli occhi colpiscono e il suo sorriso trafigge lo schermo. La mdp, usata con sapienza adesso in campo medio adesso a mano per seguire gli spostamenti frequenti e movimentati del protagonista, ci fa vivere la storia in primo piano e ci rivela l’esistenza dei tanti individui che popolano la nostra visuale ma che non vediamo, sembrano contorni invisibili pur essendo persone.

 

Lo sforzo e le buone intenzioni meritano comunque un voto che va aldilà della sufficienza.

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