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L'intrepido

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su L'intrepido

di EightAndHalf
5 stelle

Tra le disastrose Italie di Gianni Amelio, questa è senz'altro una di quelle più spaventose. Il regista di "Lamerica" penetra in squallidi cantieri, luridi bugigattoli, ma anche in grandi spazi della città di Milano per raccontare la storia di un insolito freak, instancabile "rimpiazzo" di tutti coloro che, per impegni o per pigrizia, saltano un turno del loro lavoro, e nell'Italia della crisi prendersi una pausa dal proprio lavoro, anche per una malattia, è un disastro, come sostiene la promettente Livia Rossi, per la prima volta sullo schermo. Dunque realizza qualsiasi tipo di impiego, da pulitore delle tribune di stadio a badante, o anche operaio in un'industria tessile, in una divertentissima sequenza che fa l'occhiolino a "Tempi moderni", e in mezzo a tanti drammi e a tanti scoramenti, l'Intrepido Antonio Albanese non si lascia deprimere, decide lui della propria allegria o della propria tristezza, ed è per questo, forse, il più forte di tutti, nonostante la sua (apparente) ingenuità e la sua apparente creduloneria. Sta di fatto che il suo personaggio più e più volte si lascia coinvolgere anche in qualcosa che non lo mette proprio a suo agio (come quando deve improvvisarsi "babysitter"), benché si prenda le proprie rivincite (la correzione del concorso fatta a Bedy Moratti, severa esaminatrice). Eppure c'è anche qualcos'altro, nell'approccio alla realtà di questo bizzarro personaggio, che sa della vita più di quanto ci immaginiamo: riesce a conquistare la simpatia di una giovane italiana depressa da una vita che mai verremo a conoscere durante la durata dell'intero film, se non per qualche frammento, e riesce a farsi riservare dal figlio musicista molti sorrisi, che spesso il figlio invece rimpiazza a pianti, urla e dispiaceri assai dissimulati. E' pur sempre l'Italia in cui non si può mirare a un lavoro che piace, e il figlio, che coltiva la passione per la musica ma non riesce a mettersi d'accordo con altri musicisti o a combattere le sue crisi di panico, lo sa meglio del padre, rassegnato sognatore. E' davvero lui, l'Intrepido, l'unico che non si scoraggia, che sa dire di no al guadagno illecito, allo sfruttamento, che sa fare anche lavori umili senza porsi problemi, e che, dopotutto, vive, riesce a vivere con una dignità, senza lasciarsi andare né, appunto, a scoramenti, né addirittura al suicidio. E' l'eroe di Gianni Amelio, capace di far ridere, ma a cui molti "smettono di avere qualcosa da dire", dalla vecchietta "innamorata", dal ragazzo a cui fa praticamente da babysitter nel parco fino alla stessa ragazza a cui si lega, e che a suo modo contribuisce a quelle piccole soddisfazioni che rendono per lui la vita degna di essere vissuta. C'è forte realismo, in "L'intrepido", c'è grande volontà di osservare e criticare senza piangersi addosso, di avere ancora una speranza. Sembra di no, visto le degenerazioni tragiche della seconda metà del film (non del tutto necessarie), ma basta aspettare il finale, in cui, dopo aver visto finalmente il suo "mare", l'Intrepido sorride alla telecamera come un cresciuto Antoine Doinel truffautiano.

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