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L'intrepido

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'intrepido

di alan smithee
8 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2013 - VENEZIA 70
"Prima di iniziare però datti una ripulita! Via quella giacchetta, via quella camicia da quattro soldi...e soprattutto metti la cravatta! Un uomo senza cravatta sa solo comprare e non vendere".
Sono almeno trent'anni che viviamo nella società del commercio senza vergogna e della vendita a tutti costi. Non produciamo più nulla, noi cosiddetti Paesi industrializzati, ma sappiamo vendere benissimo. Che cosa alla fine non lo sappiamo più neanche noi visto che l'impalpabile è l'oggetto più diffuso dei nostri scambi: il fumo, l'arte del convincimento e della seduzione della parola. In questo contesto il lavoro, che in un'epoca sfaccettata come la nostra richiederebbe sempre maggiore specializzazione, si svilisce alla pura arte del convincimento, della perseveranza e dell'insistenza; la seduzione, quella che premia i furbi e gli avvoltoi. A chi non riesce ad emergere in questo perverso contesto, non resta che riciclarsi ed adattarsi ad occupare i posti che nessuno vuole più ricoprire perché giudicati svilenti, prodigandosi e specializzandosi a fare "opera di sostituzione", come nel caso del nostro "intrepido". Gianni Amelio centra ancora una volta il segno con un'opera erroneamente annunciata come la sua prima commedia; in realtà c'e' davvero poco da ridere o da rilassarsi e le inquietudini di quello che ci viene mostrato, di questo paese distrutto da un trentennio dominato da una classe approfittatrice e vampira (non solo quella politica, ma ancor più quella che si è auto-incoronata a capo di un'economia fasulla basata sull'impalpabile e su scalate di borsa davvero "intrepide") fanno tremare chi con onestà è stato costretto a sopravvivere a testa bassa. L' Antonio Pane  di Albanese è l'emblema della sottomissione, della buona volontà che si piega davanti alla disonestà di una classe di arrivati (efficacemente rappresentata dal nuovo laido compagno della sua ex moglie) che si è creata il deserto attorno; così sciocca e piena di sé da non pensare che se ci si arricchisce solo disstruggendo tutto si finisce per danneggiare pure se stessi. Purtroppo chi ne esce più distrutto nel film sono i giovani, i ventenni, che oggi si trovano in mano talvolta contemporaneamente più titoli di studio sulle spalle, ma anche un mondo del lavoro che appiattisce, che generalizza, sottopaga e non è neppure più in grado di promettere senza mantenere.
Il rischio del film di Amelio era anche e soprattutto la possibilità che una personalità intelligente ed estrosa come Albanese divorasse il film tramutandolo in una farsa (vedi il dittico di Manfredonia). Al contrario invece, come successo al cinema poche volte ad opera di qualche bravo regista (mi viene in mente Soldini), Amelio riesce a trattenere la poesia e l'umanità di un personaggio che si immola come un santo d'altri tempi. Pochi registi come il nostro sono in grado di stupirci con primi piani così intensi, con una cura nel dettaglio di una sceneggiatura che si prende i suoi rischi e trova il coraggio di sostenere la sua tesi fino in fondo, trovando, come oggi in proiezione stampa, chi non apprezza e magari fischia (beati loro, mi vien da pensare, evidentemente il problema non li tocca o non si sono accorrti di nulla). Tra gi attori una fugace apparizione di Sandra Ceccarelli riesce ad impreziosire un cast colmo di facce nuove e genuine che, come ogni volta nel cinema di Amelio, impariamo d quel momento ad amare ed apprezzare. Un gran film: il tempo e la storia sapranno rivalutarlo, qualora la Giuria lo dimenticasse (come è probabile) in sede di premiazione.

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