Regia di David O. Russell vedi scheda film
Grazie a due successi a tutto tondo (“The fighter” (2010) e “Il lato positivo” (2012)), David O. Russell è riuscito a crearsi una posizione di merito destinata a pochi, riuscendo ovvero a coniugare grandi incassi agli onori della critica e premi “pesanti”.
Questa volta però si ferma a metà, incassi (a dir poco) notevoli, ma meno soddisfazioni negli altri campi pocanzi citati, facendo segnalare un cospicuo passo indietro qualitativo, nonostante le ambizioni di farlo nell’opposta direzione siano manifesti.
Stati Uniti, anni ’70, incastrati dall’agente DiMaso (Bradley Cooper), una coppia di truffatori, Irving (Christian Bale) e Sydney (Amy Adams), viene costretta a collaborare per arrestare mafiosi e politici corrotti.
Il principale obiettivo è Carmine Polito (Jeremy Renner), popolare politico del posto, mentre Rosalyn (Jennifer Lawrence) è la variabile impazzita del gioco.
Succederà un gran casino.
Se i due precedenti lavori di David O. Russell avevano convinto su tutta la linea (almeno il sottoscritto e comunque i voti medi parlano chiaro), questa volta si naviga tra luci ed ombre, che poi ognuno di noi può giostrarle in modo diverso, ma in tutto il magma a cui assistiamo (quasi due ore un quarto, un’esagerazione) è realmente complicato non trovare più di un aspetto, non secondario, poco convincente.
Il primo punto che può dividere è la ricostruzione d’epoca; sfarzosa, ricca di dettagli, anche accattivante allo sguardo, con costumi che attirano l’attenzione (e sulle protagoniste sono anche un bel vedere) e parrucche che lambiscono i limiti del grottesco, che poi è una componente della storia stessa, un’evidenziazione dei tratti non solo somatici.
E’ comunque la trama a vacillare ed a lasciare maggiori dubbi; gli spazi migliori sono quelli che scandiscono i momenti più intimi che vedono coinvolti i tanti protagonisti, con tante bugie, il controllo che si perde, l’affanno, con il tentativo di uscirne in qualche modo.
Si registra invece una certa dose di approssimazione in alcuni momenti chiave (per esempio, è realmente complicato pensare che l’incontro con il boss della mala interpretato da Robert De Niro possa portare i suoi frutti), ci sono leggerezze che in un contesto così articolato, peraltro appesantito da trucchi narrativi artificiosi (e pure un po’ inutili a volte), gravano visto che la costruzione mira in alto (con anche salti di palo in frasca), ma poi manifesta più volte i piedi di argilla.
Quello che salva, in qualche modo, la baracca è la recitazione e con essa la guida degli attori; sicuramente vi è la fortuna di avere un cast d’eccezione, anche se il “troppo storpia”, mettere interpreti in situazioni al limite è un rischio, fatto sta che Jennifer Lawrence in un piccolo, ma incisivo, ruolo è ancora una volta un gran bonus, Amy Adams sorprende (che fosse brava lo si sapeva, ma qui si trova in vesti inedite) e Robert De Niro regala una primizia nonostante la sua apparizione giunga all’interno di uno snodo debolissimo, mentre il trio di protagonisti maschili fa più fatica a convincere (si muovono tra alti e bassi, costretti al rischio).
Un film che puntava in alto, ma che manifesta alcune lacune macro e che lascia una poco piacevole sensazione di ruffianeria (sa di dover piacere, ad ogni costo) e che trova smalto in rapporti umani che si sfiancano e nei lati ombrosi dei caratteri, però quando si pensa, e realizza, un’opera del genere (lunga, varia, con intrecci mutevoli) certe approssimazioni non si possono proprio glissare come se nulla fosse.
Vivace e contraddittorio.
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