Regia di David O. Russell vedi scheda film
Non è una rivisitazione di un periodo recente, dei gloriosi anni settanta, il regista David O.Russell evita la rilettura attualizzata, tende più a scoprire il “lato positivo” di un momento storico che cinematograficamente ha evidenziato la disillusione, il disagio, la rabbia, il disorientamento che accompagnava la sostituzione di valori morali radicati. Però “...noi siamo solo una cazzata..” dice Sidney, uno dei personaggi principali, perché in American hustle prevalgono la cornice, i suoni, i colori, l’ambiente, l’atmosfera che si respira, ed è tutto verosimile, palpabile e attraente, invece le persone con i loro gesti, con le loro piccole azioni disconnesse che guidano il racconto sono appunto, cazzate. Russell traccia dunque una linea di divisione netta fra l’uomo frastornato alla ricerca e in fuga da sé secondo la lezione dei maestri dell’epoca, per accogliere totalmente nella sua versione ritardata dei seventhies, l’altra faccia dell’America, quella che non ha tempo e voglia di riflettere(anche con il pericolo di ripiegarsi su sé stessa) ma che aderisce in pieno ai modelli sociali di massa orientati dal potere. Grazie all’abbattimento e alla liberazione di ogni vincolo morale, chi detiene la chiave per illudere e veicolare l’esistenza verso la proiezione del successo, del denaro facile, dell’acquisto della felicità anche rateizzata, incomincia in quegli anni a tessere la sua trappola ideologica, da cui verrà partorito il deleterio decennio successivo di cui ancora oggi ne subiamo le conseguenze. L’apparenza inganna, dice Russell, ma non lo prova, gli eroi di American hustle (interpretati da un notevole gruppo di attori di talento) due truffatori Irving e l’amante Sidney, il poliziotto intraprendente quanto fesso Richie Di Maso, la dirompente Rosalyn moglie instabile di Irving sono tutti conformi alla rappresentazione che risulta più bonaria che critica, più attenta a rimettersi in ordine lustrini e parrucche per farsi piacevolmente assolvere. Insieme all’armamentario iconografico di base, che contiene quanto previsto dal genere, l’ispettore capo onesto, il procuratore ambizioso, il mafioso, il sindaco corruttibile ma buono, il delinquente in affitto dal cuore grande così, i politici scafati pronti a strizzare l’occhio al dollaro per il bene dei nipotini, ne scaturisce un ammiccante liturgia garantita dall’estetica che non dal contenuto, piuttosto che un’impietosa, cinica messa a fuoco dell’epoca. La vicenda non brilla per originalità e se i colpi di scena e i ribaltamenti di genere dovevano essere innescati dalle contraddizioni interne dei personaggi che confonderebbero la linearità della lettura della storia abbiamo sbagliato strada. Tutto procede come previsto, nessuno è veramente condannabile e negativo per ciò che fa, l’apparenza fa intravedere un vuoto riempito dal ritorno ai valori consueti e auto indulgenti. American huste piace alla gente che piace, ai selezionatori delle candidature per gli Oscar per esempio, conquistati da tanta “Grande bellezza” che come unito da un filo invisibile ma logico a questo film mostra solo colpe e non colpevoli.
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