Regia di David O. Russell vedi scheda film
Puff.
American Hustle è uno sbuffo di coolness, potente ed esibito, ma che puzza un (bel) poco di bluff.
Uno di quei film la cui presunta grandezza sta tutta in una mera eloquente elencazione di banali virtù: bella la ricostruzione d'epoca (però gli anni settanta sono un rifugio a prova di bomba), belli i costumi, il trucco e le acconciature (più sono stravaganti meglio è), belli gli attori (anche se s'imbruttiscono), bella la musica, bella la fotografia, bella la storia, bello il lieto rasserenante finale.
Ma no - come suggerisce/rivela (involontariamente) il sottotitolo italiano - l'appar(isc)enza non inganna: dietro la facciata - smaltata di grandeur, robusta simpatia e innegabili sex appeal e glamour, con una edificante abbondante innocuità di (s)fondo per non disturbare ma anzi per attrarre ancor più - non c'è molto (di cui andar fieri).
Notevole la prova degli attori, spesso impegnati in duetti che ne evidenziano abilità ed eclettismo (intenso il gioco di sguardi tra Bale e De Niro) o in singoli pezzi di bravura (vedi Bradley Cooper, il migliore dello stratosferico cast), eppure la loro luce non può che (s)perdersi e spargersi alla rinfusa negli angoli bui di un disegno generale artificiosamente illuminato (e l'effetto abbaglio è garantito).
L'artificio e la derivatività sembrano costituire la cifra stilistica di un'opera convenzionale e piatta (nonché appiattita su sicuri modelli vincenti), che sa "stupire" soltanto attraverso un'ostentazione sistematica di elementi decorativi. Che abbelliscono (coprono) una struttura di modesta consistenza, ed alquanto stucchevole.
Poche chiacchere: la storia, per dirla tutta, è sconnessa, sempliciotta, fragile in più punti; trascinandosi con sé, in un turbinio di emozioni spicce e posticce, quel tanto noto amore per i personaggi da sempre dichiarato e rappresentato da David O. Russell. Sceneggiatura, dunque, tutt'altro che di ferro: perde plausibilità per strada, s'accartoccia in bizzarrie assortite (l'isteria è uno stato della mente, di ogni mente), s'ammoscia, infine, malamente, in una risoluzione che vorrebbe tanto essere un sopraffino, sofisticato gioco di prestigio truffaldino, invece è una sciocchezzuola pretestuosa ed autoassolutoria (sì, i personaggi, sopra ogni cosa, l'abbiamo capito). Imperdonabile.
Una qualsiasi puntata di una quasi omonima serie britannica di qualche tempo fa - Hustle - aveva più ingegno, palle e humour.
Troppo facile - per quanto evidentemente fruttuoso - agire così, puntare su arredi, corredi, doratura della confezione e fascino dei protagonisti, disinteressandosi (ovvero non essendo capaci) di conferire un minimo di senso - che sia il dolore, il dramma, il grottesco, il gusto per il gioco e il divertimento - come pure una reale, personale impronta registica.
E citare Scorsese - il regista per primo lo fa, e lo fa vedere - è una bestemmia.
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