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American Hustle - L'apparenza inganna

Regia di David O. Russell vedi scheda film

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La recensione su American Hustle - L'apparenza inganna

di michemar
6 stelle

David O. Russell, il regista porta fortuna dei suoi attori, continua (o conclude) il ciclo dei suoi film che raccontano di gente che, avendo un passato non proprio limpido o con reati più o meno gravi, cerca di reagire e rifarsi una vita migliore. La trilogia iniziata con il ben più sostanzioso “The fighter” e proseguita con l’effervescente commedia “Il lato positivo” arriva qui ad una storia di cronaca realmente accaduta negli anni settanta, la storia di un trio di truffatori molto ingegnosi che sognano, come capita a tutti gli impostori, il colpo grosso della vita. Al regista piace raccontare queste vicende e lo si nota anche perché si riesce a percepire quanto egli si diverta girando un film del genere anche con l’intento di immaginare le motivazioni dei personaggi e provare a spiegarle agli spettatori.

Iniziare a vedere il film con lo stomaco debordante dell’ingrassato Christian Bale (si parla addirittura di 20 chili in più) in primo piano dà subito l’idea di ciò che si può aspettare lo spettatore e quando subito dopo lo si vede semi-calvo armeggiare davanti allo specchio per sistemare il suo vistoso riporto (“elaborato” lo definisce la sua partner) ed un piccolo toupet sulla testa i dubbi si sciolgono: stiamo osservando una persona che ama ingannare la gente, mascherare la propria personalità. Siamo di fronte ad un truffatore. La sua filosofia? “La gente crede a quello che vuol credere!”. Quindi basta farglielo credere! Nella vita lui, Irving Rosenfeld, traffica in ogni tipo di oggetto vendibile e di qualsiasi genere: quadri, strumenti finanziari, negozi e via dicendo. Solo che se i negozi servono da copertura alle sue attività, i quadri che tratta sono tutti di provenienza “dubbia” o clamorosi falsi d’autore e nel campo finanziario riesce a vendere certificati azionari e obbligazionari falsificati. Inoltre, e questa è una sua evidente grande abilità, riesce a promettere veloci e sostanziosi finanziamenti a persone in cerca disperata di contante, richiedendo come compenso fisso ben 5.000 $: è intuibile che questa gente non vedrà mai un cent. E la sfanga sempre, anche perché ad aiutarlo c’è la sua amante Sydney Prosser (una sexy Amy Adams), una donna a cui non manca l’inventiva, il coraggio in questo tipo di affari e una buona dose di ottima recitazione nelle sceneggiate che si inventano davanti ai loro clienti appena agganciati e che abboccano che è una meraviglia, disperati come sono. E’ una donna forte e determinata, partita dal nulla; come lei stessa dice: “senza un soldo, senza paura, senza niente da perdere”. E quest’ultimo particolare è quello che la spinge a rischiare forte, avendo nulla da perdere. Terzo personaggio, ma non nella classifica delle attitudini all’inventiva truffaldina, è la procace e sciroccata Rosalyn Rosenfeld (la dirompente Jennifer Lawrence), moglie quasi abbandonata del capo banda, Irving: difatti è lei che darà l’idea giusta nel finale per concludere una truffa che si stava complicando sempre più. Quarto elemento di primo piano è l’agente federale Richie DiMaso (un ricciolino Bradley Cooper), sfigato personaggio che aggancia e arruola la coppia di imbroglioni e che si illude di riuscire ad arrestare mezzo mondo di politici e mafiosi, ma che alla fine rimarrà confinato ai margini dell’operazione della FBI. Completano il quadro Jeremy Renner, irriconoscibile e trasformato nei panni del sindaco della città, Carmine Polito, che vuole rilanciare il business del campo edilizio e del gioco: siamo nel New Jersey e dalle parti di Atlantic City, dove senza i tavoli da gioco pieni di gente e di soldi gli affari vanno a singhiozzo. Quindi pur di far rifiorire gli affari delle costruzioni e dei casinò accetta dagli abili truffatori una grossa tangente e non ha paura di compromettersi con la mafia, senza la quale nulla si potrebbe muovere. Per questo entra in scena un vecchio marpione di Hollywood, Robert De Niro, nei panni del temuto capo mafia Victor Tellegio. Il vecchio Bob ha pochi minuti di scena ma con la sua presenza catalizza l’attenzione di tutti e dà una lezione di recitazione, anche se il suo personaggio ha qualche tocco di macchietta, quasi una parodia da goodfellas.

Da questo elenco di furbastri e dagli accenni fatti si intuisce che è una storia di truffe di media portata ma che il fiuto dei protagonisti conduce finalmente all’occasione della vita, al colpo grosso, quello che cercano da tempo. Ed è una gara tra furbi, tra chi la pensa più veloce e più astutamente; inoltre ognuno ha poca voglia di scoprire tutte le carte. Perfino i due amanti, Irving e Sydney, hanno dei segreti mai svelati ma che pian piano verranno fuori, perché in fondo si amano davvero e per finire felicemente a vivere assieme devono prima o poi rassegnarsi a svelare il loro passato.

In verità la storia potrebbe essere buona, ma il film non decolla quasi mai e se prende appena appena il volo è solo quando appunto si traghetta dall’imbroglio di media portata, perpetrato agli allocchi ingenui, alla megatruffa con milioni di dollari in ballo, alla corruzione in alte sfere politiche con implicazioni mafiose e alla invenzione di un falso (e poteva essere vero?) sceicco saudita disposto (si fa per dire!) ad investire cifre ingenti. Solo allora il film ha una certa presa e ciò nonostante il ritmo non si eleva mai, basandosi la storia su una sceneggiatura discretamente brillante, a tratti divertente ma mai appassionante. A tutti verrà in mente il paragone con “La stangata”, ma siamo a milioni di miglia lontani: se lì il ritmo era incessante e in crescendo, lo sguardo celeste, ironico e strafottente di Paul Newman e Robert Redford stregavano lo spettatore, senza necessità di accorgimenti estetici, se lì il botto finale era una bomba atomica di sorpresa, qui il ritmo è blando, per dare un tono ai personaggi si è ricorso a trucchi pesanti, capelli con riportaccio o cotonati, scollature mozzafiato, ed infine la soluzione finale è semplicemente bonaria e fa appena il rumore di un petardo. In sintesi è una “stangata” meno allegra e spensierata, confezionata con buoni elementi singoli - i quattro protagonisti e comprimari - ma con un risultati deludenti.

Rimarchevole, su tutte, è la prova di Christian Bale che recita benissimo, soprattutto col fisico e con la gestualità, esplicando spesso le sue intenzioni con i suoi sguardi al di sopra degli occhialoni anni ’70. Anche la Lawrence se la cava benino usando il suo fisico, anche se continuo a pensare che il suo meglio riesce a esprimerlo nelle parti drammatiche. Fa impressione però notare che sono arrivate le nominations dei Golden Globe per tutti e quattro gli attori: vero è che le hanno ricevute nel settore della commedia e quindi, secondo me, non avranno la stessa fortuna delle nomine agli Oscar dove non esiste la separazione tra attori per commedie e per i film drammatici, ma rimango perplesso lo stesso. Se, come dicevo prima, Bale se la cava molto bene, Amy Adams basa il suo personaggio principalmente su una impostazione molto sexy e sui suoi begli occhioni azzurri puntati verso l’interlocutore e lo sconcertante e sopravvalutato Bradley Cooper è spesso a bocca aperta, unica espressione per esprimere il suo sconcerto o per essere stato attirato sessualmente dalla furba Sydney o perché il suo capo Stoddard Thorsen lo maltratta o ancora perché quell’imbroglione di Irving Rosenfeld cerca ancora di buggerarlo.

Il film è fitto di dialoghi e con poca azione, ma la sceneggiatura, ripeto, è brillante e solo a tratti divertente, mentre la soundtrack è assolutamente di irresistibile: tra i brani rock e jazz e quelli tipici di quegli anni, disco-music in testa, vien voglia di alzarsi e mettersi a ballare. Simpatica e nostalgica la scena in cui il trio Irving-Richie-Sydney camminano sul marciapiede spavaldi con il sottofondo musicale dei Bee Gees: sembra di ricordare Tony Manero che spaccava la città al ritmo di disco-dance adeguatamente vestito per un sabato sera da (s)ballo. In ogni caso David O. Russell ha fatto molto meglio in “The fighter” e perfino ne “Il lato positivo”: qui stiamo parlando di un’opera di medio livello sicuramente sopravvalutata e gonfiata da un notevole battage pubblicitario.

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