Regia di Mar Delgado, Esaú Dharma vedi scheda film
Fantascienza pura. In bianco e nero. In tre minuti d’animazione. Uno sconvolgente flash su una realtà possibile, un’evoluzione tecnologica che potrebbe, in poco tempo, realizzare il sogno dei viaggi nel tempo in una maniera del tutto inaspettata, e senza violare le leggi fisiche attualmente accreditate. Dall’immaginazione degli esordienti spagnoli Mar Delgado ed Esaú Dharma nasce l’idea di una scoperta astronomica sconvolgente, in grado di avviare, in breve tempo, l’umanità verso una fine silenziosa ed estremamente semplice. Nessuna catastrofe interplanetaria. Nessuna invasione aliena. Soltanto un’apocalisse che scrive l’ultima parola su tutto, esaurendo la nostra missione nel mondo. Un epilogo dal tenore vagamente evangelico, che chiude il cerchio della Creazione ritornando alla Genesi, al peccato originale della conoscenza proibita. Il nostro universo è un paradiso terrestre che può essere distrutto dalla stessa sovrumana pretesa. È forse pensando a questa analogia con l’incipit della Bibbia che gli autori hanno deciso di presentare la loro storia come un racconto che parla al passato, con un tono appassionato, eppure ponderato e sobrio, che mescola documentario, favola e parabola filosofica. Il c’era una volta introduce un discorso ammantato del fascino del fantastico, eppure infinitamente amaro. Lo spettacolo del sapere non è mai stato così tragico, e bastano pochi esempi per convincerci del dramma che si nasconde dietro le risposte che chiudono un percorso di ricerca, o l’avventura di un mistero. Questo cortometraggio – finalista al Premio Goya 2013 – è il videoclip di un incubo non troppo improbabile, presentato con un collage di fotogrammi che, come in una composizione d’arte geometrica, uniscono suggestioni poetiche e schematizzazioni didascaliche. Ed il quadro d’insieme ci restituisce - pennellata dopo pennellata, e come sfogliando il libro dei ricordi - un’unica, suadente metafora: la rappresentazione di un monito che invita alla moderazione, mentre celebra, nel seno di uno struggente disincanto, la disarmante bellezza dei nostri irrimediabili limiti di creature mortali.
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