Regia di Lucas Belvaux vedi scheda film
ALLA RICERCA DEL PRINCIPE AZZURRO.
Sarà il mio tipo? E altri discorsi sull’amore è come dice il titolo, una commedia sull’amore ma con risvolti amari, come è sempre stato nella storia del mondo quando l’amore, quello sognato al traino di un cocchio con cavalli bianchi e principe azzurro, si liquefa nella realtà.
Può il principe azzurro prendere le sembianze di un insegnante di filosofia in una cittadina di provincia come Arras, un’ora e mezza fuori Parigi? Può una solare, pratica, parrucchiera sognatrice lasciarsi ammantare dall’amor cortese di un uomo che dell’amore ne legge, declama e scrive?
Loïc Corbery è Clément, un giovane intellettuale parigino insegnante di filosofia trasferito in provincia. Émilie Dequenne è Jennifer, pronunciato all’inglese, parrucchiera di Arras, un borgo tranquillo un’ora e mezza fuori da Parigi. Ma in Francia, come sentenzia Clément, ad un’ora da Parigi sei fuori da tutto. Lui annoiato, vaga per la città con nello sguardo lo stupore instupidito da una sottile, mai ammessa, arroganza. Scuro, imploso, distaccato. Lei solare, sorridente. Appassionata di amori altrui, di filosofia da rotocalchi. Della vita dei divi tanto diversa dalla sua.
Lui scrive dell’amore, lei ne legge. Lui ritiene di saper amare, lei ama. Facile.
Tutt’altro.
Sarà il mio tipo? non deve ingannare. A partire dal titolo, non tanto diverso dall’originale (Pas son genre) che può far sembrare questa storia la solita banale commedia da coppietta del sabato sera, si rivela invece qualcosa di diverso. A partire dagli interpreti, perfetti, affiatati, lei musa dei Dardenne in Rosetta (1999), lui bella faccia da film francese per proseguire con il regista e sceneggiatore Lucas Belvaux, qui al nono lungometraggio e una manciata di tv movie, fratello dei quel Rémy Belvaux che dopo aver girato un capolavoro del cinema come Il cameraman e l’assassino (1992) si lasciava sopraffare da quella violenza che aveva lucidamente mostrato nel film e nel 2006 si ammazzava.
Sarà il mio tipo? è un film di opposti speculari che non si riconoscono, pianeti che si avvicinano e si allontanano oscillando tra l’attrazione della gravità e la repulsione delle rispettive masse. Danzano nello spazio illudendosi di accompagnarsi nell’infinito ma costantemente spaventati dalla probabilità della collisione. La piccola cittadina di Arras richiude in un pugno la belle vie à Paris di Clément e lo trasporta in un universo più a portata d’uomo, fatto di pub e karaoke del fine settimana, divertimenti meno “elevati” rispetto a quelli a cui è avvezzo e che sono l’humus nel quale Jennifer è cresciuta. L’ambiente è importante perché connota il carattere della ragazza, semplice, genuinamente rozzo agli occhi del sofisticato parigino, pigramente adagiato nell’amore che ha imparato a leggere dai classici, decanato nelle opere teatrali, idealizzato e etereo. L’amore di Jennifer è invece legato alla materialità dei gesti, viscerale e contraddittorio. L’incontro/scontro dei due caratteri è il tema principale che si sviluppa nel film e matura evolvendosi in un rapporto più complicato e profondo: il sogno di una felicità eterna e fiabesca che elevi Jennifer dalla materiale solitudine quotidiana, entra in contrasto con l’intellettualizzazione del rapporto amoroso da parte di Clément che proprio non riesce a calarsi nei panni del principe che scivola giù dai sogni per portare chissà dove, in braccio, la ragazza.
Molto importanti a questo punto sono le comprimarie amiche di Jennifer che come da tradizione dei film sentimentali dissacrano le seriosità e smagliano la personalità dell’amica protagonista della storia mostrandone le caratteristiche più intime. Sono insieme pietra di paragone e fan numero uno di questo rapporto che se andasse a buon fine non risolverebbe solo la situazione amorosa della loro amica ma darebbe una speranza anche per la loro. Sarebbe la constatazione che il principe azzurro esiste e quando arriva porta via la sua bella. A Parigi, per esempio.
Il tema delle variazioni sull’amore è forse quello più sfruttato al cinema ma si rinnova sempre, come ogni film di genere, mettendo situazioni giuste nei posti giusti e parole sensate in bocca a facce interessanti. Il film romantico vive di cliché, il brutto film romantico viene affossato dai cliché.
Belvaux affronta le insidie del banale uscendone benissimo, cucendo la messa in scena a misura degli attori e della storia. Si prende tutto il tempo che serve per caratterizzare i personaggi, ci gira attorno e li studia. Il risultato è che quando questi si presentano l’uno all’altra, sono credibili. Quello che rende godibile il film è la costante certezza di non essere mai presi per i fondelli con una storia di amorazzi o di subire ricatti mielosi. La storia è sobria, tenuta saldamente in pugno anche se dopo tutto è solo una storia di due che si incontrano e si amano. Come tante altre storie, tutte uguali e tutte diverse. Come nella realtà, benché questo film non pretenda di fare del realismo, le diversità di storie uguali risiedono nelle persone, così in un film romantico gli attori hanno il loro peso nel rendere credibili amori di fantasia. Il personaggio di Jennifer è forte, molto ben scritto, Émilie Dequenne è molto intensa nella sua interpretazione, fragile e potente. La regia di Belvaux è sobria e accompagna i due protagonisti fino alla fine senza caricare di altri significati una storia che è già di per sé molto chiara. Merito anche dei dialoghi misurati e ficcanti, sempre puntuali.
Rispetto alle tonnellate di commedie romantiche che arrivano sullo schermo, questo film è pervaso costantemente da una strana atmosfera melanconica, liquida, che scorre negli sguardi e scava voragini tra i corpi distinguendosi proprio per caratteristiche di sottrazione. Qualcosa che è sospeso tra il melò e la commedia ma rinunciando alle estremizzazioni di entrambi i generi e trovando un proprio equilibrio agrodolce. Sarà il mio tipo? E altri discorsi sull’amore è una sorpresa dolce amara, da vedere.
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