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Song to Song

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su Song to Song

di Dompi
8 stelle

 

Uno sguardo intriso di leggerezza¹ pervade l'ultimo Malick, uno sguardo che si ciba di volti, di luce, di dettagli.

 

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Song to Song (2017): locandina

 

 

LO SGUARDO

Ciò che si riscontra nell'ultima poetica di Malick, quella che va da "To the Wonder" per giungere a "Song to Song", è l'assoluta fiducia malickiana nell'immagine che è a sua volta una fiducia, nella sua essenza, nel medium cinematografico. La sfida che si pone in essere è rivolta ad una fede nel e per il visivo, piuttosto che al contenuto dell'opera che appare da "To the Wonder" fino a "Song to Song" sempre più sfilacciata e posta in secondo piano. "Song to Song" chiude una trilogia e si colloca come il versante più estremo della filmografia malickiana, così come "Inland Empire" ne chiudeva a sua volta un'altra. I due film, apparentemente distanti per tematiche e poetica dei due autori, quali Lynch e Malick, sembrano invece compenetrarsi per quanto riguarda la loro consistenza visiva, giocata su una soglia che straborda il cinema corrente, spingendo verso un "punto di non ritorno" la filmografia dei due registi in questione: "Inland Empire" fino ad oggi conclude l'intera filmografia di Lynch, "Song to Song" allo stesso modo termina il percorso cinematografico intrapreso da Malick nel lontano 2005. Inoltre, lo sguardo malickiano si configura, come si era accennato, come "una regressione" rispetto allo sguardo tipico vigente nel cinema moderno: lo sguardo è diventato per Malick un ritorno verso una purezza delle cose. Il punto di vista dello sguardo malickiano è puro, splendente, scevro da impostazioni rigide e classiche, è uno sguardo che si imbatte nel mondo come se lo guardasse per la prima volta. E' uno sguardo che regredisce fino a farsi bambino. In  ultima istanza, è uno sguardo che sovrasta la narrazione divorandola.

 

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Uso del chiaroscuro e del grandangolo in "Song to Song" e "Knight of Cups".

 

 

 

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(pseudo)soggettive in "Song to Song". Una possibile liason tra "Song to Song" e "Trans-Europ-Express" di Alain Robbe-Grillet.

 

 

IL GESTO

Una secondo aspetto su cui vale la pena soffermarsi è la posa che Malick adotta nell'inquadrare l'azione filmica, riassumibile nel gesto. Ritengo, infatti, che l'essenza dell'ultimo Malick sia racchiusa nella volontà di "mostrare" il sentimento dal punto di vista del (con)tatto. Questa chiave di lettura appare chiara da "The New World" in avanti, come illustra Kracauer²: «il film mette in scena il fraintendimento della popolazione indigena da parte dei primi coloni britannici della Virginia e lo fa attraverso una serie di contatti e incontri fisici che si sviluppano in senso aptico: tessuti e materiali, animali e armi, pelle umana, abiti. [...] Nel cinema hollywoodiano classico, invece, il contatto con le popolazioni indigene era mediato dalle immagini panoramiche del western, con le sue praterie e profili montuosi. Lo sguardo post-coloniale di Malick mostra al contrario non solo il cambio di paradigma dall'occhio alla pelle come superficie di contatto e comunicazione ma  si avvicina alla realtà storica secondo la quale non erano l'eroica battaglia i commerci a caratterizzare l'incontro fra coloni ed indigeni ma contatti contaminati che portavano tosse tifo e malattie sessuali».

 

Ciò che si verifica da "To The Wonder" fino a "Song to Song" è proprio questa epifania del contatto: i dettagli sulle mani, sui volti, gli abbracci, i baci si moltiplicano fino a diventare i protagonisti dell'ultimo film di Malick, un film estremo sui contatti, dove con "estremo" si sottolinea la volontà di inquadrare dettagli anche quando non è necessario ai fini dell’azione filmica. Personalmente, trovo sotto quest'ottica la direzione dei corpi nel cinema di Malick tra gli aspetti più suggestivi e un valore aggiunto alle sue opere: dalle danze e gli svolazzi di Marina in "To The Wonder", per passare all'immobilismo di Rick in "Knight of Cups", per arrivare alle azioni sfrenate e ai moti continui dei personaggi di "Song to Song". Catturare un sentimento o una suggestione tramite questa messa in scena è complicatissimo, tanto che  molti potrebbero accusare Malick di una certa semplificazione nella rappresentazione del sentimento. Non sono d'accordo su questa eventuale semplificazione, poiché i gesti messi in atto rimandano spesso ad una dinamica psicologica del personaggio: pensiamo alle danze della Kurylenko, un modo per interrogare la Natura, smuoverla in qualche modo dalla sua staticità alla ricerca di un senso della propria esistenza tradita dall'uomo che amava. Allo stesso modo, in "Song to Song" il gesto viene declinato in più varianti, come accade in "To The Wonder": abbiamo il linguaggio corporeo di Fassbender che è il più incline dei personaggi verso l'azione, sempre proteso al moto, abbiamo una recitazione sottrattiva di Gosling che è il personaggio più immobile dei quattro, Rooney Mara invece sembra impossibilitata nel scegliere da che parte stare: se avvicinarsi a Fassbender nella sua corporalità sfrenata o fuggire da questi impulsi per completarsi con Gosling. La scelta verso la corporalità viene messa in atto dalla Portman che sceglierà Fassbender per poi pentirsene.

 

 

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Mi sembra anche possibile fare un certo confronto tra le ultime opere di Malick e il film di Godard del 1964, "Una femme mariée", per quanto riguarda il versante del gesto. Mi riferisco al famoso esergo del film di Godard e alle sue prime 16 inquadrature che racchiudono in gesti composti alcuni frammenti di vita della coppia, frammenti che sono giocati sul contatto, sui primi piano, su dettagli di gambe, occhi e mani. Catturare nel gesto un sentimento o una sensazione. Il particolare come celebrazione della totalità del sentimento. Godard, ovviamente, in quel caso ci mostra il gesto e il contatto con altre modalità diverse da quelle a cui giunge Malick: basti pensare all'eliminata profondità di campo che rafforza ancora di più il gesto umano messo in scena, il fondale è bianco, mentre ciò che emerge è la sensazione fortissima del tatto.

 

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La sensazione del tatto in "Knight of Cups" e "Song to Song".

 

 

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Il (con)tatto con una superficie può generare un’emozione, personificata dalle onde marine.

 

 

E' anche interessante notare l'insistenza da parte di Malick in "Song to Song" di inquadrare il ventre, di farlo toccare insistentemente dai personaggi. Nel film di Godard ne abbiamo un breve accenno mentre mi pare più esaustivo proporre un altro collegamento tra "Song to Song" e un film del 2004 dell’inglese Winterbottom "9 Songs" che contiene alcuni spunti interessanti. “9 songs” è un film totalmente pensato per la sensazione del (con)tatto mettendolo in mostra senza filtri e patinature, aspetto invece assente in “Song to Song”. Con "Song to Song", abbiamo una relazione più stretta per quanto concerne la narrazione: due storie basate sulla musica (il rock) e l'amore, due personaggi nel film di Winterbottom, il doppio nel film di Malick. Anche questo caso ritorna incessantemente la superficie corporea del ventre. In aggiunto si veda anche "To The Wonder".

 

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Inoltre è significativo, a mio avviso, accennare ad una pervasività del cinema di Antonioni nel gesto malickiano. Mi riferisco al modo in cui i personaggi di Malick si muovono davanti all'obiettivo della mdp:

 

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C’è una fugace scena in cui Rooney Mara confessa l’amore che ha per il poeta francese Arthur Rimbaud: “Lui ha sperimentato”. Forse che Malick in questo istante abbia rivendicato o sottolineato la sua volontà per la sperimentazione del linguaggio cinematografico?

 

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Un secondo rimando esplicito ad un altro poeta lo si ritrova verso il finale del film quando Rooney Mara cita i versi di una poesia di William Blake: si tratta della poesia “La Divina Immagine” racchiusa nella raccolta “Songs of Innocence che inquadra i punti cardine dell’ultima filmografia malickiana: il dualismo Grazia/Natura in “The Tree of Life”, l’Amore in “To the Wonder”, la Pace interiore agognata da Rick in “Knight of Cups” e la Pietà nei suoi risvolti del Perdono in “Song to Song”.

 

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Grazia, Amore, Pace, e Pietà

Chi è negli affanni prega,

E ad esse virtù che liberano

Torna l'animo grato.

 

Grazia, Amore, Pace, e Pietà

È Iddio, Padre caro,

Grazia, Amore, Pace, e Pietà

È l'uomo, Suo figliuolo e Suo pensiero.

 

La Grazia ha cuore umano;

Volto umano, Pietà;

Umana forma divina, l'Amore,

E veste umana, Pace.

 

Ogni uomo, d'ogni clima,

Se prega negli affanni,

L'umana supplica forma divina,

Amore e Grazia e la Pietà e la Pace.

 

Da tutti amata sia l'umana forma,

In Turchi si mostri o in Ebrei;

Dove trovi Pietà, l'Amore e Grazia,

Iddio sta di casa.

 

 

Si potrebbe fare un ulteriore raffronto tra “Song to Song” e il film citato direttamente da Malick all’interno della sua opera: si tratta di “Ménilmontant” di Dimitri Kirsanoff del 1926. La citazione appare approdare ad una duplice finalità: il primo si prospetta come una prolessi di quello che accadrà dopo. Il personaggio della Portman fissa quello di Fassbender e da qui inizia la rottura tra i due, rottura che si concluderà in un modo quasi analogo a quello mostrato nell’inizio di Kirsanoff. Nell’incipit di “Ménilmontant” abbiamo un omicidio, in “Song to Song” un suicidio. Un secondo rimando al film francese sembra essere giocato sull’aspetto tecnico: in Kirsanoff abbiamo la presentazione del personaggio femminile giocata su diversi stacchi di montaggio, dal mezzo primo piano si arriva al primo piano. In “Song to Song” Malick esegue alcuni jump cut sul viso di Rooney Mara restando però in una posizione prossima al mezzo primo piano.

 

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Inquadrature di autovetture fra Malick e Godard: "La rabbia giovane", "Pierrot le fou", "Knight of Cups", "Song to Song", "To the Wonder".

 

 

 

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KNIGHT OF CUPS TESCHIO

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Similitudini sparse tra "Song to Song", "The New World", "Knight of Cups", "To the Wonder" e "Days of Heaven".

 

 

Si parlava prima del mostrare il contatto: forse l'unica grossa pecca del film è che Malick è troppo pudico nel mostrare le soluzioni dell'amore e i suoi risvolti dell'atto. Quello che emerge è la mancanza, forte e decisa del mostrare l'amplesso senza fronzoli, scevro da patine, cosa che in "Song to Song" e in "Knight of Cups", che alla loro base hanno un preciso scopo di mostrare la tentazione e gli eccessi, manca in maniera lampante: l'ultimo film di Malick ogni volta che dovrebbe mostrare l'eccesso è come se si ritirasse nel guscio della non-mostrazione. Si prenda in considerazione il rapporto torbido tra i personaggi della Portman e di Fassbender che si gioca sempre sul non-detto visivamente, mentre dal punto di vista della narrazione si articola in frasi allusive: "Prendi di me ciò che vuoi", "Che parte vuoi di me?" Un altro appunto critico si potrebbe fare sulla tematica del suicidio che ormai è diventata una delle tematiche portanti dell'ultimo Malick, presente in "The Tree of Life" in maniera velata, in "Knight of Cups" e infine in "Song to Song". In questo film il suicidio irrompe nella seconda metà del film: se da un lato Malick lo mette in mostra per la prima volta in maniera diretta fra questi tre film, dall'altro lato appare una scelta frettolosa nello sviluppo del personaggio che nella prima parte del film non aveva dato modo di esprimere questo disagio nella sua complessità. Su un altro versante ancora, l'evento del suicidio restituisce secondo la mia opinione un breve sunto della poetica malickiana: verso il finale Malick inquadra per un certo lasso di tempo il volto disperato del personaggio di Fassbender per la morte dell'amante, qui si innesca un breve momento rivelatorio: ad un certo punto Fassbender si volta e vede la Portman contro il vetro, è un flashback? Forse è un'apparizione fugace del senso di colpa che sta vivendo il personaggio maschile in questione, dopotutto è sua la colpa della morte dell'amante.

 

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L'apparizione fugace del fantasma della Portman riassume il cinema dell'ultimo Malick: la poesia dello sguardo, il ricordo, rincorrere la fugacità del momento, dell'istante, dell'attimo, dell'invisibile prima che svanisca. Forse per l'ultima volta?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹Il titolo originario era "Weightless"

²"Teoria del film", Siegfried Kracauer, 1995

 

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