Regia di Terrence Malick vedi scheda film
A me dispiace. Non sembra, in quanto negli ultimi tempi il tanto discusso percorso intrapreso da Terrence Malick ha letteralmente tagliato a metà la critica, tra chi lo venera come un Dio terreno e chi gli ha voltato le spalle sin dall'atipico The Tree of Life, tanto da far apparire questi ultimi (ai quali anche il sottoscritto ne fa parte) come degli infimi diffamatori del medesimo autore - a prescindere dal prodotto. Dispiace, perché non è bello assistere in diretta alla totale distruzione di un cineasta (e la sua poetica di partenza) che ha scelto - consapevolmente o meno non si sa - di cambiare mestiere, passando dallo scrivere e dirigere cinema, grande cinema, al punire ingiustificatamente chi osa approcciarsi ad egli stesso. Punire, sì, poiché davvero non trovo altri vocaboli per descrivere quel che il signor Malick sta attuando da sei anni. The Tree of Life perlomeno, nel suo insieme, presentava un'idea di cinema interessante per quanto non condivisibile, ma con i successivi la situazione è degenerata. Speravo in un cambiamento, un'evoluzione, o quantomeno un lieve discostamento. Niente da fare. Siamo sempre fermi nello stesso identico punto.
Song to Song è un'opera inesistente, assente, è il vuoto che gira attorno al nulla. Un ammasso informe di fatuità, come lo erano i suoi precedenti colleghi To the Wonder e Knight of Cups. Centoventi interminabili minuti, durante i quali Malick - o chi per lui - va alla scoperta del mondo con la macchina da presa costantemente accesa, strumento ignoto a quanto pare. Sempre le stesse riprese con il grandangolo, sempre la stessa fotografia di Lubezki (seriamente, non se ne può più). Le immagini, che vorrebbero essere dolci e leggiadre ma che risultano invece solo violente, commentate dalla solita voce narrante del povero interprete di turno, il quale tenta di biascicare discorsi che vanno dal demenziale all'insopportabile. Il cast, composto da grandi attori come Ryan Gosling, Rooney Mara, Michael Fassbender, Natalie Portman, Cate Blachett e Val Kilmer, sprecato in ruoli imbarazzanti, uno più ridicolo dell'altro (il vincitore è Fassbender). Le facce di questi ultimi, nel bel mezzo del marasma, sono l'unica cosa che permette allo spettatore di concludere la visione. Attori giustamente buttati alla rinfusa nell'inquadratura con il solo ed unico scopo di attirare pubblico in sala. Vien da chiedersi dove tutto questo voglia andare a parare, quale sia alla fin fine il messaggio, la motivazione. Questo è un cinema (faccio una grande fatica a definirlo tale) che non troverà mai e poi mai il mio consenso, con il quale non ho e non avrò mai un legame affettivo ed emotivo. Mi rattrista vedere l'autore di capolavori indiscussi come Badlands e Days of Heaven ridursi così, distruggendosi con le proprie mani, completamente perso nei propri deliri mistici, oramai divenuto la parodia di se stesso. All'inizio ci si poteva anche indignare, poi si poteva ridere e ironizzare, prendendo un po' per i fondelli tutto ciò. Ma arrivati qui, c'è ben poco su cui scherzare. In cuor mio, non cesserò di attendere un ritorno, un risveglio del Terrence Malick che in passato mi emozionò. Per ora solo tanta, tanta, tanta compassione.
(La sola ed unica bellezza che sono riuscito a scorgere)
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