Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Seconda puntata di To the Wonder, uno stream of consciousness filmato fitto di immagini glamour e appunti mentali frammentati e confusi, astratti al punto giusto da significare tutto o niente. Anti-narrativo (e questo non e' certo un problema) e anti-interessante (questo forse si').
Potrebbe non essere l’anti-narratività l’elemento più critico con cui lo spettatore di Knight of Cups è chiamato a confrontarsi, chi ha visto To the wonder incontrerà un’opera del tutto analoga mentre chi ne è digiuno riconoscerà rapidamente uno stream of consciousness per fotogrammi, un profluvio di immagini attraenti e raffinate, accompagnate da riflessioni frammentate, stralci dialogici e appunti mentali recitati in voice over come in un mantra psicanalitico. Anarchia e libertà espressive, che sgomberano subito il campo da possibili approcci tradizionalisti, sono caratteri fortemente distintivi ma non necessariamente respingenti: si può destrutturare, scomporre, non-raccontare, lo spettatore non è poi così rigido come si tende a credere. E' indispensabile però individuare un canale alternativo attraverso cui creare, comunicare e trasmettere qualcosa di tangibile e durevole.
Invece Knight of Cups si sbarazza di molte incombenze ma non si assume altrettanti oneri, rivendica la sua totale libertà espressiva senza domandarsi se lo spettatore seduto là al buio avrà voglia di riempire di significato ogni spazio lasciato vuoto da tanti accenni troncati a mezzaria. E' un’opera a cui si assiste, armati di pazienza, cercando di tenere i piedi per terra per capire se c’è sostanza - o semplicemente qualcosa di nuovo – dietro l’ambigua fascinazione che parole e visioni esercitano con lavorio incessante.
Le meditazioni del protagonista Rick e dei personaggi che attraversano la sua vita fioccano in voice over con suggestiva vaghezza, sono versi assiomatici ed evanescenti, potenzialmente pregni di ogni significato così come di nessuno:
- Vedete le palme, le palme ci dicono che tutto è possibile. Si può essere qualsiasi cosa. Si può fare qualsiasi cosa.
- Non viviamo le vite a cui siamo destinati... siamo destinati a qualcos’altro.
- Tu non vuoi l’amore. Tu vuoi l’esperienza dell’amore.
- Mi sembravi familiare ma non sapevo chi fossi. Sei fantastico. – Grazie.
Prendiamo atto della natura impalpabile e decisamente astratta dei testi, consci che il vero punto di forza del cinema di Malick si coglie con gli occhi, occhi che nel caso di Knight of Cups possono contemplare la vita edonista e superficiale che Rick conduce in puro stile star system. Appeal glamour, ambienti di design, femmine da copertina, landscapes mozzafiato... Rick pur nell’indolenza non si fa mancare nulla e naturalmente tutto è ammaliante e fotografato in modo vertiginoso ma lo sguardo, il gusto con cui si osserva è identico a quello che informa l’oggetto messo sotto la lente di ingrandimento, stessa accezione di bellezza riprodotta senza una rielaborazione che ne giustifichi il riesame consentendo una posizione critica, un moto interrogativo, un punto di vista inedito.
E’ pacifico che lo star system vive proprio di determinati codici e consuetudini, ma che motivo c'è, per noi, di riesaminarli se nella riproposizione non c'è effetto distorsivo, non c'è ombra di ironia o di audacia, non un sussulto di originalità o un briciolo di cattiveria che ci scuotano dall'ipnosi? Solo per fare un esempio: le ripetute inquadrature di Rick sulla spiaggia, con la bellissima donna di turno che volteggia nel tramonto, rientrano senza scampo nell’immaginario romantico più navigato possibile, un immaginario da set fotografico che conosciamo a memoria e che non ci emoziona più. Stesso discorso per la rappresentazione di feste a bordo piscina, schermaglie tra amanti e oscure tensioni familiari, tutto si appoggia a un repertorio situazionale già disponibile e metabolizzato, per di più sempre accennato e mai portato a compimento.
La questione del peso specifico del tormento esistenziale di un uomo inappagato dal suo mondo dorato deve aver impensierito anche un autore libero e contemplativo come Terence Malick, ne sono testimonianza alcune veloci inquadrature che intervengono a spezzare il continuum per testimoniare anche l’esistenza di esseri umani svantaggiati, si tratta di inserti di segno diametralmente opposto e compensativo ma molto ben sigillati. Tra questi anche un uomo affetto da lebbra (la prima moglie di Rick è giustappunto un medico, lo apprendiamo da quella scena), sui cui arti offesi dalla malattia la macchina da presa si sofferma due volte.
Nelle prime scene Christian Bale appare chiaramente disorientato, come chi non ha ancora ben afferrato cosa sarà chiamato a fare, ma è evidente che in quella fase le indicazioni della regia sono state di proposito razionate per incoraggiare l'improvvisazione e quindi si assume che l’effetto sia cercato.
Con l’avvicendarsi delle scene le cose non cambiano molto, ma l’attore sta ormai al gioco lasciandosi tranquillamente riprendere mentre cammina e fissa l’orizzonte.
Medesimo, tangibile imbarazzo anche in Cate Blanchett mentre devo dire che la presenza che più convince per naturalezza e immedesimazione è quella di Natalie Portman (nei limiti di scrittura, se così si può dire, del personaggio).
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