Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Guardare il mondo che ci sta attorno con lo sguardo appassionato e penetrante di Terrence Malick, è un privilegio che sarebbe sufficiente per rendere unica l'esperienza, contemplativa e ascetica, che deriva dalla visione del suo ultimo film.
Un cinema, quello del grande regista americano, che ha ormai da tempo valicato i limiti e i vincoli del tessuto narrativo, della sceneggiatura e del dialogo tradizionali, per relegarsi al livello di pensiero che procede senza una meta prefissata, e che interagisce con l'immmagine potente, quella con cui il regista ci ha abituato a convivere lungo tutte le sue opere: la ripresa mobile e sofisticata in grado di rappresentare il pensiero, e di far vagare la mente in uno spazio libero e senza vincoli come solo la libertà di pensiero ancora sa essere.
Inquadrature potenti e mobili in cui la forza della natura interagisce con le geometrie avveniristiche di un mondo, quello californiano, dove la potenza e la forza del paesaggio, marino, montano o desertico, scendono a patti in modo solidale con i progressi ingegneristici e i virtuosismi architettonici di una civiltà che non sa più comunicarsi le emozioni, ma tecnicamente appare in continua espansione.
Un uomo di cinema, sceneggiatore a corto di ispirazione, vive una sorta di contemplazione nervosa e frenetica, fatta di riprese concitate tutte stacchi potenti e brevissimi da massimo 10 secondi. L'uomo ripercorre, in capitoli che ricordano il gioco dei tarocchi, i propri fallimenti, le sospensioni e le incognite delle relazioni familiari col padre ed il fratello, e con due tra le donne più significative di un percorso sentimentale che in entrambi i casi è ormai solo un ricordo, nostalgico o addirittura amaro.
E intorno la natura nella sua sfolgorante potenza, la sua corsa che ci travolge, la forza del mare o delle scosse telluriche a cui nulla, nemmeno le opere piu' ardite ed avveniristiche possono sottrarsi.
Una natura che sfida e vince le incognite temporali, e che fa da contraltare potente e di carattere alla pochezza e alla fragilità delle relazioni sociali che si consumano attraverso feste e party esclusivi, popolati da stereotipi di banalità e pochezza, vacuità e mono dimensionalita'.
Sulla scia del meraviglioso Tree of life, passando attraverso lo sdolcinato ed inconcludente To the wonder, il percorso mentale di Malick si affina rinunciando ormai completamente al dialogo e dando vita al connubio pensiero+immagine in un accoppiamento potente e molto affascinate.
Bale recita solo apparendo, ma differenza dell'atona fissità di Affleck nel precedente e debole To the wonder, la sua presenza risulta penetrante e di vigore. Blanchett e Portman sono due meteore di una vita ormai lasciatasi dietro che tuttavia possiedono la forza dirompente di non farsi scordare. La vita è anche ciò che è stato, oltre a ciò che potrà, eventualmente, ancora essere.
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