Regia di Paul Wright vedi scheda film
Senza dubbio un film che merita di essere visto se non altro perché è un tentativo sincero di sperimentazione stilistico e narrativo che sembra continuamente debordare e compiacersi dei propri spiazzamenti continui tra il reale e l’onirico, in un vissuto esistenziale lacerato tra normalità e schizofrenia.
La prima parte esordisce con una tragedia che colpisce un’intera comunità scozzese che vive di pesca e che pertanto ha un rapporto profondo con il mare, di amore e di odio, reverenza e timore. E questa tragedia è proprio nel mare, perché si tratta di un naufragio in cui muoiono tutti tranne uno, Aaron, il quale in quell’occasione ha perso anche suo fratello.
La comunità reagisce all’evento con dolore e rassegnazione, perché sa che il mare dà e toglie la vita, mentre Aaron non si rassegna; nella sua mente ancora infantile le superstizioni sul mare lo perseguitano, li insegue alla lettera, perché in quelle superstizioni c’è tutto lo spirito della comunità, che deve la sua identità collettiva alla preparazione di una difesa contro il mostro marino, che un giorno prese nel suo ventre tutte le famiglie e i bambini e se ne andò lontano, nel fondo degli abissi; ma il mostro arriverà di nuovo, e tutti sono spaventati, mentre Aaron deve fare qualcosa per liberare la comunità dallo spavento e dall’inquietudine, soprattutto deve riprendersi suo fratello, tentare la sorte, combattere il mostro marino, entrare nel suo ventre e liberare tutte le vittime, soprattutto suo fratello.
Queste intenzioni di Aaron prendono forma nella seconda parte del film in concomitanza con un contesto sociale che diventa sempre più espulsivo nei confronti di Aron, che a causa della sua manifesta schizofrenia induce la comunità stessa a ostracizzarlo, a sospettare che sia stato persino lui medesimo la causa del naufragio. La mente di Aaron frantuma questa realtà, la segmenta in tante prospettive non sempre concordanti: da una parte cerca rifugio nella fidanzata di suo fratello, arrivando persino a immedesimarsi in suo fratello per poter stare con questa ragazza, ma al tempo stesso per rimanere in contatto con il proprio fratello; dall’altra lo vediamo rimuginare il suo rapporto con il fratello, che in alcuni momenti, soprattutto nell’infanzia, appare idilliaco, ma poi, in altri momenti, mutando le forme, Aaron appare a se stesso un disabile psichico che viene picchiato dal fratello.
Sono scene spiazzanti, debordanti, costellate da segmenti audio-visivi disarticolati, che si sottraggono a una sintassi narrativa lineare e classica, ma in modo lucido e sperimentale convergono nella focalizzazione della follia di Aaron, vista nel suo mondo interiore. Piano piano la realtà si fa sempre più fantasmatica, a tratti compare una madre il cui dolore per il figlio morto lascia sempre più il posto per quello ancora vivo, che per i disagi che comporta nella comunità dovrà essere internato. E in effetti in concomitanza delle percosse subite dal padre della ragazza di suo fratello, da alcuni amici, dal rifiuto ostinato perché qualche pescatore si prenda cura di lui e lo riporti in mare, Aaron è sempre più intrappolato nel suo mondo allucinatorio, addirittura, dopo il rifiuto della ragazza, sorprende un suo coetaneo e lo costringe con un coltello a nuotare in mare aperto per cercare il mostro marino.
Dopo questo evento, diventa tutto irreversibile, ma il giorno prima di essere ricoverato, il giovane Aaron scappa di nuovo, va in mare aperto, si taglia i lati del collo per poter respirare negli abissi e nuota nel fondo, alla ricerca del mostro. Come immagine finale ritroviamo la carcassa di un mostro marino tutta insanguinata sulla spiaggia, di fronte a una comunità attonita, liberata e oppressa dalla misteriosità del mare. Quella carcassa non è altro che Aaron, che ha portato su di sé le proprie colpe e quelle della comunità, non è altro che la concrezione cristologica di tutte le angosce dell’esistenza, le quali, non più riconosciute per quello che sono, ora sono lì, alla mercè di tutti, come morte speculare della stessa comunità, che non ha saputo riconoscere in Aaron la possibilità della sua innocenza. Un’opera densa, forse troppo compatta, magari poteva essere diluita meglio, in certi momenti sembra perdersi davvero e compiacersi di perdersi, credendo che questo sia forse il suo punto di forza, ma non riesce del tutto a crederci e a farlo credere.
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