Regia di Paul Wright vedi scheda film
Spoiler abbastanza pesanti dopo la linea divisoria nel finale
Che poi in realtà superstiti lo siamo tutti.
Essere in vita vuol dire essere superstiti della morte.
Essere in vita vuol dire anche essere superstiti di milioni di persone che se ne sono andate o se ne vanno ogni giorno.
Perchè sopravvivere non è per forza qualcosa di strettamente relativo, come la parola superstite presuppone.
Poi si può anche essere superstiti di un dolore o di un amore, di un incidente o di una gioia, di un terremoto che distrugge case o di uno interiore.
Aaron è un giovane ragazzo superstite, l'unico superstite, a un tremendo naufragio del quale poco o nulla sappiamo, solo un'istantanea di un mare che si ingrossa e inghiotte.
Aaron nel naufragio ha perso suo fratello, praticamente la seconda metà della sua anima.
La piccola comunità dove vive non gli perdona di essere ancora in vita mentre tutti gli altri sono morti.
E nemmeno Aaron se lo perdona.
Questo è un film su chi rimane, su chi ha avuto la (s)fortuna di salvarsi e deve vivere ogni giorno non solo con il senso di colpa e con il ricordo che ti dilania dentro, ma anche in mezzo a persone che non sopportano che tu sia ancora vivo mentre tutti i loro affetti sono morti.
Il Superstite è un'opera prima a tratti straordinaria, scritta e girata con una sensibilità pazzesca.
A livello visivo l'ho trovato di una grazia a tratti stordente per come gioca con le varie grane dell'immagine. Alle riprese classiche, infatti, alterna vecchi filmini amatoriali -bellissimi-, immagini di repertorio, vhs, video di telefonini e sequenze oniriche in un montaggio più mentale che narrativo davvero prodigioso.
Scene come il triplo montaggio di lui che costruisce la zattera, la mamma che canta e il vecchio filmato di loro due insieme, come quella dell'accoltellamento del cuscino, vortice rosso di piume, o quella di lui che si avvicina al mare o il filmato amatoriale dei bambini che fanno il girotondo, sono davvero da pelle d'oca.
Il film è quasi privo di narrazione e di azioni notevoli che lo portano "avanti" tanto che, a parte il finale, ogni scena potrebbe stare indifferentemente prima o dopo delle altre. L'unico tempo che esiste è quello interiore del protagonista, quello del suo tormento. E malgrado tutto venga trattato in maniera perfetta è proprio qui, se vogliamo, che si può nascondere l'unico vero (e forse grande) difetto del film, ossia nel suo troppo ripetersi, sia nelle situazioni che nei pensieri (raccolti nella voice off del protagonista). Sembra quasi che si siano aggiunti molti riempitivi e ripetute scene per raggiungere la durata minima consentita, quella di nemmeno un'ora e mezza.
Ma quello che sembrava "solo" un film sulla colpa del sopravvivere e sulla devastazione psicologica di un ragazzo che ha perso il proprio fratello (ma che lo sente ancora vivo, e per questo lo cerca) diventa poi qualcos'altro, anche se fin dall'inizio, dalla primissima scena, questo qualcos'altro ci era stato in qualche modo anticipato.
Il mare è un mostro che reclama vittime per poi tenerle nascoste nel proprio ventre. E' vero, siamo in Scozia, terra di leggende e di Lochness, e quindi trovarsi davanti a questa, così atavica, terribile ed affascinante, è quasi normale. L'intera comunità ha paura di questo mostro marino (forse, come detto, il mare stesso) e solo un sacrifico può uccidere il mostro e riportare la serenità.
Ed è qui che il film, a tratti, sembra assumere connotati quasi demoniaci, con sequenze e tonalità che richiamano l'incubo, con questo Male che aleggia dapertutto. A tal proposito ho trovato magnifica la scena del vecchio filmato del Carnevale con questa maschera della Morte che cammina per strada. Mi ha ricordato, soprattutto nella sua valenza metaforica, La Maschera della Morte Rossa di Poe.
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Aaron crede fortemente che suo fratello sia ancora vivo.
E crede fortemente nella leggenda.
Non ha niente in questa vita che abbia un senso senza di lui, e così questa volta andrà a cercarlo davvero, negli abissi, nel ventre del mostro.
Nei 5 minuti finali, di una bellezza abbacinante, delle ferite mortali diventeranno squame.
E un ragazzo sarà pesce, come nella leggenda.
E in quel ventre ci sarà il ricongiungimento, quel ricongiungimento che ucciderà il mostro.
E il mostro si spiaggerà, immenso e ansimante.
La mano di una madre lo tocca, e capisce.
Il sacrificio è stato fatto.
Io ho ritrovato mio fratello.
Voi, la vostra serenità.
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