Regia di Brian Percival vedi scheda film
“Storia di una ladra di libri” ( (The Book Thief, 2013) è il sesto lungometraggio del regista di Liverpool, Brian Percival.
L’ordine delle idee è sognare ciò che pensi di cominciar a far bene e non assecondare il distruttivo caos di quello che annienti e allunghi oltre a un desiderio sempre spento. E per iniziare un film di cui la storia deve cibarsi si usa un meccanismo oltte il sogno che non vuoi la voce della Morte (sopra le nuvole imbiancate di sonno profondo) che pare un orco troppo buono per un doppiaggio (forse) simpaticamente leggiadro e odoroso di voce minimalisticamente ironica (quella dell’attore Stefano Benassi).
E la cinepresa radendo i nuvoloni bianchi (in stile furbemente fiabesco in ‘infinita storia’) s’avvicina cautamente al biancore di una neve accattivante e di un fumo di un treno che trasporta passeggeri nella Germania 1939. E tra i tanti ecco arrivare il volto della bambina Liesel e del suo fratellino che trova sepoltura in un cimitero ammantato di bianco. Liesel viene abbandonata dalla madre e trova ‘riparo’ presso una famiglia in un piccolo centro con i suoi nuovi genitori, Rosa e Hans, che ne prendeno le cure.
L’inizio ammantato e sognante si scontra con le faccende politiche forti e il nazionalsocialismo imperenate con un Adolf Hitler osannato con manifesti e bandiere in ogni posto, luogo e ambiente fino a quello scolastico (naturalmente). Tutto in un contesto che abbassa il tono e mai appesantisce il vero riferimento storico nonostante manifestazioni, parate e riferimenti (il falò sui libri, la notte dei cristalli, la partenza per la guerra, e il rastrellamento) segnalati con didascalie di date e luoghi. La contrapposizione tra la ‘piccola storia’ di Liesel con gli avvenimenti tragici che ne circonda il tutto sono ‘didascalicamente’ alleggeriti con minime vedute, giochi di bambini e situazioni famigliari sopportabili senza dimensionalità oltre la via o le strade di riferimento. D’altronde la voce fuori campo parla di ‘Via del Paradiso’ e il duello Morte-Sogno o meglio ‘vero-riposo’ s’insinua nel racconto ma con modi ‘corretti’ e ‘giusti’. Immagini dolcemente colorate e musica ben confezionata in un prodotto che appare (soprattutto nella prima parte) troppo tirato a farsi piacere e con un gusto insicuro nel renderlo troppo acido (o se si preferisce leggermente ‘grato’ ad un pubblico disponibile ad accontentarsi). In ogni caso la pellicola si vede e non affatica (affatto) merito del duo Rosa-Hans che tiene la storia e allontana ogni pretestuoso gioco del troppo fiabesco.
Nella nuova famiglia Liesel trova considerazione e affetto, conosce l’amico Rudy, conosce Max che viene nascosto nella casa degli Hubermann perché ebreo e trova nella casa del borgomastro una libreria che viene aperta agli occhi e alla memoria della bambina; impara a leggere con la tenacia amorevole del padre Hans e racconta ogni cosa a Max, che si meraviglia della sua memoria (‘la memoria è scriba dell’anima’ così diceva Aristotele dice a Liesel) e delle sue parole che sono testamento di salvezza (e nella malattia sarà l’unico appiglio o quasi).. Ogni tanto per la voglia di sapere entra di nascosto nella casa con la libreria per ‘rubare’ qualche bel libro (lei dice che prende in prestito quando viene seguita dal suo amico Rudy a cui rivela il nascondimento dell’ebreo a casa dei suoi genitori adottivi).
La storia arriva di colpo sulla famiglia e la guerra, i bombardamenti porteranno dolore e morte e il film hanno una parte finale commovente con un resoconto tragico per gli affetti di Leslie che si ritrova viva ma completamente sperduta tra le macerie. Il film è tratto dal libro ‘La bambina che salva i libri’ di Marcus Zusak con la sceneggiatura di Michael Petroni (che aveva lavorato su ‘Le cronache di Narnia’ ) che mette qualche gusto favolistico che si compiace della voce fuori campo che inizia e conclude il tutto.
Nonostante questo modo ‘regolare’ e ‘classico’ di girare la pellicola, senza eccessivi sobbalzi umorali pur non privando lo spettatore di una vera commozione (d’altronde quando si parla di guerra, antisemitismo e vera tragedia su dei bambini difficilmente si rimane distanti e asettici), il film regge per le interpretazioni di livello di Emily Watson (Rosa Hubermann) e Goeffrey Rush (Hans Hubermann) con Sophie Nélisse (Liesel) che ha il viso giusto nei momenti più prettamente ‘mirati’ all’età di riferimento con atteggiamenti semplici e veri.
La regia di Brian Percival tende ad un medietà non negativa per coinvolgere lo spettatore e portarlo con sé fino all’epilogo (nonostante una durata oltre le due ore). Tutto con buoni tecnicismi di riprese e carellate accarezzevoli sui volti e gli ambienti. La musica di John Williams allarga il sentore melodico per un animo umano che entra diritto nel cuore di una bambina innocente. La produzione predilige una certa ‘sontuosità’ nel quadro del racconto con una fotografia (e colori) troppo ‘elegante’ e ‘costruita’. Peccato un certa remissività e un basso profilo (chi sa se un colore completamente sbiadito con un quasi bianco e nero….avrebbe…ma certamente con altri intenti…) nel film…sarebbe stato un valore aggiunto ‘notevole’. Comunque vedibile, per tutti, commovente quanto serve e senza eccessivi tratti pesanti.
Voto 6+.
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