Regia di Brian Percival vedi scheda film
Il film – ispirato al romanzo omonimo dello scrittore australiano Markus Zusak (2005) che ha venduto più di otto milioni di copie ed è stato tradotto e pubblicato in italiano dall’editore Frassinelli – non meriterebbe la fatica di una recensione, se non per il drammatico tema della sua trama.
Ci troviamo in una piccola città tedesca nel 1939, in pieno regime hitleriano.
Qui, attesa da una coppia di coniugi che si è offerta di adottarla, giunge, accompagnata da alcune volontarie della Croce Rossa Internazionale, Liesel (Sophie Nélisse), che ha poco più di dieci anni. In verità l’adozione avrebbe dovuto riguardare anche il fratellino della bimba, ma questi, in precarie condizioni di salute, era morto durante il faticoso trasferimento in treno, cosicché solo Liesel aveva potuto essere accolta nella casa povera, ma ospitale, dei coniugi Hans e Rosa Hubermann (Geoffrey Rush e Emily Watson).
Apprendiamo che la madre di Liesel, militante comunista e perseguitata politica, aveva dovuto lasciarla per riparare all’estero e che la piccola era ancora analfabeta, ciò che le provocava la derisione dei compagni di scuola.
Sarà Hans a insegnarle non solo a leggere, ma ad apprezzare i libri che Liesel avidamente si sarebbe procurata, sottraendoli, con rischio personale, alla ricca biblioteca del borgomastro della cittadina.
Presso casa Hubermann era giunto, inatteso ma generosamente accolto, il giovane ebreo Max Vandenburg (Ben Schnetzer), che, lasciata la famiglia per sfuggire ai rastrellamenti nazisti, aveva evitato il lager, ma si era ammalato per gli stenti e il freddo, spostandosi a piedi, stremato per la stanchezza e la fame.
Il suo arrivo aveva aperto gli occhi di Liesel sulla realtà disumana del nazismo: ne aveva già conosciuto l’avversione alla cultura durante il rogo dei libri che aveva visto con orrore e sgomento; ora ne sperimentava la volontà ferocemente persecutoria nei confronti di creature inermi e innocenti.
Avrebbe fatto tesoro degli insegnamenti di Hans e anche degli utilissimi incoraggiamenti di Max, intellettuale colto e raffinato, per progettare il proprio futuro, interamente dedicandosi alla causa della solidarietà fra gli uomini, alla pace nella libertà e alla cultura.
Questi temi di sicuro interesse storico, sono stati sviluppati in modo molto superficiale, con molta approssimazione e raccontati dalla voce narrante della Morte, artificio retorico del tutto ingiustificato e molto fastidioso.
Forse il film era rivolto al pubblico dei più giovani che, attratti dal racconto delle sventure di Liesel e di Max, si sarebbero fatti un’idea delle nefandezze del nazismo, senza andar troppo per il sottile e senza badare alle inverosimiglianze, agli stereotipi e ai troppi registri narrativi che ne rendono incerta la coerenza.
Lo scopo nobile, purtroppo, non trasforma un film mediocre in un bel film. Peccato.
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